possibile coniugare rigore e crescita? Come sappiamo, dentro la maggioranza convivono due visioni diverse: Forza Italia e FdI predicano maggiore attenzione ai conti pubblici e spingono sul taglio dell’Irpef fino a 50mila euro, con benefici inferiori ai 500 euro l’anno. La Lega invece, sebbene il primo rigorista sia il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, spinge sulla cosiddetta pace fiscale e sulla rottamazione Quinquies.
Nella manovra 2026 di cui si discute in Parlamento è pacifico che entrambe queste visioni troveranno cittadinanza, e il motivo è presto detto. Ci sono due spezzoni del nostro ceto medio in difficoltà: i dipendenti e i piccoli e medi imprenditori. Non si può soltanto aumentare il potere d’acquisto dei primi senza agevolare al tempo stesso il ritorno in bonis dei secondi, che peraltro sarebbero i primi beneficiari dello sconto fiscale.
Le critiche avanzate sulla rottamazione Quinquies anche dentro la maggioranza sono legittime: le precedenti edizioni hanno fallito, il raccolto è stato inferiore alle stime (38 miliardi di euro su un potenziale di 112), la percentuale di indebitati che si è persa per strada è mostruosa: parliamo di oltre 7 milioni di contribuenti, schiacciati molto spesso da interessi, mora e aggio esorbitanti. Con le rottamazioni lo Stato anticipa risorse che punta a recuperare in un lasso di tempo estremamente lungo, ecco perché in passato si è preferito chiedere maxi rate all’inizio. Ma proprio questa modalità ha disinnescato i potenziali benefici della rottamazione.
Questa volta il governo ha scelto una strada più prudente, una prima rata del 5% come fee d’ingresso per saggiare l’affidabilità finanziaria dei contribuenti, forse necessaria più per i maxi debiti che per le cartelle più piccole, e più rate con importi decisamente ragionevoli spalmati in 96 o 108 rate, quindi otto o nove anni. Si sta lavorando a un algoritmo che modifichi l’importo delle rate (mai inferiori a 50 euro) in base all’ammontare del debito, per fare in modo che chi ha debiti più esigui riesca a chiudere i conti con il Fisco in tempi più brevi. Teoricamente è una di quelle scelte one shot che Ufficio parlamentare di bilancio e Bankitalia hanno messo nel mirino perché dagli esiti incerti e non strutturali. Un ragionamento condivisibile dal punto di vista tecnico, ma la politica (per fortuna) guarda oltre. Dietro ogni cartella spesso si nascondono contribuenti la cui morosità è «incolpevole» per questioni legate alla crisi post Covid, al rincaro di materie prime ed energia, alla fiammata inflazionistica che ha spazzato via molte aspettative.
Sarà importantissimo individuare i veri furbetti «recidivi», coloro che in passato hanno aderito alle rottamazione, approfittando del congelamento dei debiti, solo per interrompere le azioni esecutive di riscossione coatta e ottenere un Durc regolare, indispensabile per ottenere degli appalti. È difficile escludere dalla rottamazione oltre 7 milioni di contribuenti, per evitare rischi di incostituzionalità del provvedimento, come vorrebbe la sinistra, anche se lo stesso Giorgetti ha chiarito che «non è possibile immaginare una rottamazione all’infinito a beneficio di tutti, anche in questo caso bisogna distinguere tra meritevoli e non», dunque qualche accorgimento – come subordinare il Durc ai pagamenti effettuati o «dirottando» i crediti esigibili dalle imprese verso lo Stato – andrà trovato.
Molte più certezze ci sono invece sul taglio di due punti – dal 35% al 33% – dell’aliquota Irpef fino a 50mila euro, che ormai sembra scontato. Al netto della possibile sterilizzazione di alcune tax expenditures – la selva di benefici fiscali che rende complicatissimo il ragionamento sui benefici reali in busta paga – parliamo di una forbice di 36 euro l’anno per chi guadagna 28mila euro lorde a 100 euro l’anno per chi ne prende 37mila euro, ai 200 euro per un reddito lordo annuo di 42mila fino a 440 euro per chi ne prende 50mila.
Forza Italia spinge per alzare l’asticella a 60mila euro. Una soglia già indicata al Giornale dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo (Fdi) come «obiettivo di legislatura», i cui esiti sarebbero decisamente diversi, perché chi guadagna 56mila euro se ne troverebbe mille all’anno in più, a 60mila i benefici salirebbero a 1.440 euro, più di 100 euro al mese. Secondo la Fondazione nazionale dei commercialisti, la misura interesserebbe circa 12,6 milioni di contribuenti: parliamo del 31,2% della platea, che versa il 60,1% del reddito imponibile complessivo dichiarato e versa (da sola) il 78,6% dell’imposta netta totale. Secondo le stime, portare il taglio dell’Irpef dal 35% al 33% anche ai redditi fino a 60mila euro costerebbe allo Stato intorno ai 5 miliardi di euro. In ballo ce n’è solo uno (al momento), un altro dovrebbe arrivare dalla prossima rata della rottamazione Quater. La «tassa» sulle banche – su cui dentro la maggioranza ci sono diversi malesseri – ne potrebbe portare due o tre. Ma se la Quinquies dovesse davvero funzionare, a regime si potrebbero portare a casa una bella fetta dei 100 miliardi di euro ancora tecnicamente esigibili. Ecco perché le due ipotesi – Irpef e rottamazione – viaggiano di pari passo. Non è solo con il rigore che si salvano i conti pubblici.
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