L’autunno entra nel vivo e, per i collezionisti, vuol dire tempi di fiere. Mai come ora, del resto, aleggia una trepidante attesa tra i galleristi che ogni anno spostano armi e bagagli per allestire stand in ogni lato del mondo; l’attesa è tutta per verificare la temperatura di un mercato che da un paio d’anni ha la febbre soprattutto per la crisi delle vendite alte, frutto di un insieme di fattori, primo tra tutti l’instabilità geopolitica ma anche l’attività prolifica delle case d’asta sempre più in competizione con quella dei mercanti. Nel Belpaese, gli operatori sono ansiosi di verificare i primi effetti della riforma sull’Iva che dovrebbe incoraggiare i prudenti collezionisti italiani. Un primo test si è già avuto in questi giorni con la XX edizione di Art Verona e con Mercanteinfiera di Parma, il più caleidoscopico appuntamento dedicato all’antiquariato e al design d’autore, con oltre mille espositori e 6mila buyer. Sempre restando a ridosso dei nostri campanili, da venerdì 31 toccherà ad Artissima di Torino, kermesse che si è sempre caratterizzata per una proposta legata al «contemporaneissimo». E in Italia siamo già a tre, mentre oltreconfine Parigi si appresta a inaugurare l’edizione francese di Art Basel, e intanto a Londra chiude domani i battenti la London Art Week con epicentro Regent’ Park, sede delle fiera Frieze giunta alla 23° edizione con 168 gallerie da 43 Paesi. Sono ovviamente questi ultimi due gli appuntamenti più succulenti per il mercato «alto», quello degli artisti top; quello stesso mercato che, per una serie di ragioni (comprese quelle fiscali), ha sempre attirato all’estero anche i collezionisti italiani.
Parigi e Basilea
E così anche le più blasonate gallerie italiane non se la sentono di mancare agli eventi delle fiere ammiraglie come Art Basel (da Parigi a Basilea, da Miami a Hong Kong e a breve debutto a Doha), Frieze London appunto, Tefaf (Maastricht e New York), affrontando un investimento non certo per tutti: per tre giorni di fiera, tra costi per lo stand, trasporti, assicurazioni, pernottamenti e cene, vanno in fumo mediamente 200mila euro. Molto più contenuti i prezzi delle fiere italiane (uno stand a Mercanteinfiera, per una settimana, costa 150 euro al metro quadro) che tuttavia, nel panorama internazionale, rappresentano da sempre un paradosso per l’elevato numero di manifestazioni in rapporto al potenziale del collezionismo. Nell’arco dell’anno le kermesse cittadine superano la decina: oltre a quelle già citate, figurano le «ammiraglie» Artefiera di Bologna e Miart di Milano, seguite da Biaf di Firenze, Arte in Nuvola di Roma, Amart di Milano, le locali Flashback Art fair di Torino, Lucca Art Fair, Bergamo Arte Fiera, Arte Genova, senza contare le mostre-mercato di fotografia. Tante, sicuramente troppe, per un settore già saturo, con il rischio talora di perdere la funzione di business per diventare vetrine.
I distinguo
I distinguo però sono d’obbligo, soprattutto quando parliamo di investimenti a cinque zeri come per le fiere internazionali frequentate anche dagli emissari delle grandi istituzioni. «Le fiere non sono solo occasioni di business, ma appuntamenti utili per i rapporti che vengono allacciati con musei, con curatori, con nuovi collezionisti, fattori talvolta più importanti delle stesse vendite; è altrettanto chiaro che questi appuntamenti non potrebbero avere luogo se non ci fossero concrete prospettive di fare affari», dice Michele Casamonti, titolare della galleria Tornabuoni con sede anche a Parigi che si appresta a inaugurare ad Art Basel uno stand con i grandi nomi del dopoguerra italiano, oltre a una parete dedicata a Lucio Fontana e Giorgio Morandi, appendice della mostra che si inaugura ad Avenue Matignon. Oltre a tutte le grandi kermesse internazionali, Tornabuoni continua però a presiedere anche le più importanti fiere italiane: «Sono fiducioso del fatto che la riforma dell’Iva possa mettere finalmente i galleristi italiani in grado di competere ad armi pari con i colleghi che operano nei mercati francesi, inglesi, spagnoli, tedeschi. Troppe le fiere sotto i nostri campanili per un mercato mediamente timido? Forse, ma il punto semmai è creare manifestazioni che siano sufficientemente differenziate, specializzate, onde evitare sovrapposizioni e doppioni. Laddove le fiere non trovano, per mancanza di progetto curatoriale, una propria specificità, effettivamente possono essere troppe; viceversa, quando individuano un loro profilo specifico e quest’ultimo viene coltivato, c’è spazio perché più eventi possano coesistere anche in città vicine».
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