In Piazza Affari c’è uno scrigno Mef da quasi 100 miliardi. I principali gruppi che vedono lo Stato come azionista stanno portando avanti un 2025 con il piede sull’acceleratore e alcuni veleggiano sui massimi storici. A ottobre Terna, Leonardo, Poste Italiane e Fincantieri hanno tutte aggiornato i loro livelli record. Nei primi dieci mesi dell’anno la capitalizzazione complessiva delle tredici partecipate statali quotate in Borsa (Enel, Poste Italiane, Eni, Stm, Leonardo, Snam, Terna, Fincantieri, Italgas, Saipem, Enav, Rai Way) è schizzata di circa un terzo, sovraperformando ampiamente rispetto al +26% dell’indice Ftse Mib, con il loro valore di mercato passato dai 221 miliardi di euro circa di inizio anno a oltre 295 miliardi, un incremento di oltre 74 miliardi. Un tesoretto virtuale che consolida la posizione del Tesoro come principale azionista di tutta Piazza Affari.
Il valore teorico delle quote detenute dal Mef, direttamente o tramite Cdp, si è così arrampicato a ridosso dei 100 miliardi di euro (98,5), con un incremento di oltre 24 miliardi rispetto a inizio 2025. Un momento d’oro che potrebbe indurre in tentazione via XX Settembre a fare cassa cedendo qualche quota dei suoi gioielli, ma al momento non sembra nell’aria alcuna operazione in tal senso. Un anno fa di questi tempi era in piena rampa di lancio un collocamento del 14-15% del capitale di Poste, operazione sospesa all’ultimo momento dal Tesoro; a distanza di oltre 12 mesi una scelta lungimirante visto il boom in Borsa del titolo a 10 anni dal suo debutto in Piazza Affari.
Energia
A confermarsi peso massimo tra le partecipate è Enel, che ha visto il proprio valore di Borsa salire da 70 a 87 miliardi di euro (+25%), sostenuta dal piano di rifocalizzazione sul core business con l’ad Flavio Cattaneo che ha spinto con forza sulla riduzione dell’indebitamento che ha aperto la strada al piano di riacquisto di azioni proprie da 1 miliardo per il 2025, che potrebbe essere replicato l’anno prossimo. Il gruppo, che la prossima settimana diffonderà i numeri del terzo trimestre, si aspetta di chiudere l’anno nella parte alta della guidance (6,7-2,9 miliardi di utile) e in primavera dovrebbe concretizzarsi la riconferma di Cattaneo per un altro triennio.
L’altra big energetica, Eni, ha guadagnato oltre 7 miliardi di valore in Borsa con quotazioni risalite sui massimi a 7 anni sull’onda dei risultati del terzo trimestre oltre le attese e conseguente revisione al rialzo delle stime per l’intero anno.
Difesa sugli scudi
Ancora un anno avanti tutta in Borsa per Leonardo, che ha raddoppiato la propria capitalizzazione a 30 miliardi grazie al boom della difesa e alle prospettive legate ai crescenti investimenti per la sicurezza continentale. C’è però chi ha fatto meglio, ossia Fincantieri (+227%), che sotto la guida dell’ad Pierroberto Folgiero ha visto il ritorno dell’utile accompagnato dal calo del debito e da una previsione di crescita dei ricavi di oltre il 10% per l’anno in corso in attesa dell’aggiornamento della strategia del gruppo attesa entro la fine dell’anno e che avrà un forte focus su subacquea e difesa.
Sprint di Poste
La decisione del Tesoro di non procedere al collocamento di una quota di Poste ha dato i suoi frutti in quanto il valore della partecipazione pubblica (64,3%) nel gruppo postale ha raggiunto i 17,4 miliardi, in aumento di quasi 9 miliardi da gennaio in scia al rally del 52% nell’anno segnato dall’operazione Tim, dalla quale il ceo Matteo Del Fante punta a ricavare molteplici sinergie che si basano sulla complementarità dei loro asset e sulla convergenza dei servizi (telecomunicazioni, logistica, servizi digitali, energia e finanza). Anche per Poste in primavera ci sarà il passaggio del rinnovo del cda con sia Del Fante che il direttore generale Giuseppe Lasco pronti a intraprendere il quarto mandato alla guida del gruppo, con il nuovo piano atteso entro metà anno. Il vecchio piano prevedeva dividendi cumulati totali per 7,5 miliardi nel quinquennio 2024-2028, di cui 4,8 miliardi staccati al Tesoro.
Dall’approdo in Borsa 10 anni fa, Poste ha visto il proprio valore più che triplicarsi passando da 8 a 27 miliardi; considerando anche i dividendi staccati, ogni 100 euro investiti nel 2015 sono lievitati in 540 euro tra dividendi e crescita del titolo.
La parabola di Siena
La performance più simbolica è però quella di Banca Mps, di cui il Mef conserva una quota dell’11,7%. Dopo anni di ricostruzione, la banca senese guidata da Luigi Lovaglio ha coronato la sua rinascita con la scalata a Mediobanca, andando a porre le fondamenta per un processo di integrazione tra le due realtà che a detta degli analisti di Deutsche Bank ha un forte potenziale strutturale e può portare a generare più sinergie rispetto a quanto previsto. In aggiunta, la casa d’affari Jefferies pone l’accento sul fatto che la banca senese presenta un rendimento da dividendo tra i più alti d’Europa (oltre il 14%) accompagnato da ratio patrimoniali a loro volta molto elevati (Cet1 al 17,5% nel 2028)
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