Si chiamano scommesse di business. Ed è probabilmente quello che ha fatto Satispay, la fintech italiana dei pagamenti che lo scorso aprile ha aumentato all’1% su tutte le transazioni le commissioni applicate agli esercenti, a prescindere dall’entità del pagamento. Annunciata come un’operazione trasparenza – e in effetti è fin troppo semplice capire come funziona – si è tradotta in una stangata per tutti quelli (e sono tanti, moltissimi in città come Torino e Milano) che accettano pagamenti dalla app. Girando tra i locali che lo accettano, se qualcuno non si è ancora accorto dell’impennata delle commissioni e ne sottolinea la comodità, bar e ristoranti con volumi elevati di pagamenti giornalieri se ne sono resi conto fin troppo bene.
«Satispay? Noi lo abbiamo tolto, non accettiamo più i pagamenti con la app», spiega la titolare di un bar-ristorante da pausa pranzo del quartiere Isola di Milano. A domanda sui motivi della rinuncia, la donna ha spiegato a Moneta: «Ad aprile di quest’anno hanno alzato le commissioni all’1% su tutte le transazioni, anche quelle piccolissime. Per un locale che fa tanti pagamenti, si traduce in un costo troppo elevato, ora conviene di più accettare pagamenti col Bancomat».
In effetti, le commissioni più convenienti applicate da Bancomat stazionano nell’intorno dello 0,3 per cento (dati Bankitalia). A queste bisognerebbe aggiungere anche il prezzo del canone per avere il Pos, ma si tratta di una cifra contenuta: intorno ai 20 euro mensili. Più salate, invece, le commissioni per i pagamenti con carta di credito che si posizionano fra l’1,5 e il 3% sebbene impiegate su cifre molto più alte e su prodotti a più alta marginalità. L’unicorno italiano, termine che si usa per le società con almeno un miliardo di valutazione stimata, è sul mercato ormai da un decennio e almeno fino all’anno scorso si è sempre contraddistinto per la competitività delle sue commissioni: per gli importi fino a 10 euro non si pagava nulla, dai 10 euro in su veniva applicato un prelievo di 0,2 euro.
Tenendo presente che Satispay viene spesso utilizzato per pagamenti di piccolo cabotaggio, la differenza è non da poco. La società piemontese (di Cuneo) fondata dal trio Alberto Dalmasso (che ricopre la carica di amministratore delegato), Dario Brignone (a capo dell’innovazione) e Samuele Pinta, del resto, ha sempre perso ingenti quantità di denaro, e anche nel 2024 (l’ultimo bilancio noto) si è chiuso con un rosso di oltre 47 milioni. L’idea è raggiungere la profittabilità entro i prossimi anni e la mazzata sulle commissioni – ammesso e non concesso che non si abbatta sul numero di esercenti aderenti, pari a oltre 400mila – dovrebbe essere funzionale a questo. Basti pensare che, l’anno scorso, i ricavi sono risultati in forte crescita a 46 milioni (incassati dagli esercenti, ma anche dei servizi di pagamento in app dal bollo auto a Pago Pa sui quali c’è una commissione di 1 euro).
L’azienda, nell’immediatezza del rialzo delle commissioni, ha dichiarato di aver perso solo lo 0,4% dei clienti anche se l’impatto reale andrà valutato nel medio-lungo periodo. Secondo alcune stime di mercato, quest’anno il fatturato del gruppo dovrebbe comunque crescere di buona lena e attestarsi nella forchetta fra i 65 e i 70 milioni.
La società, che ha come capogruppo Satispay Spa con sede a Milano, ha diverse ramificazioni controllate al 100%. C’è la Satispay Europe SA alla quale fa capo la licenza per l’attività dei pagamenti e la Satispay Invest a cui fa riferimento la nuova attività lanciata nei fondi d’investimento con il salvadanaio remunerato. Entrambe con sede in Lussemburgo, patria scelta da molte società dei fondi per le snellezze procedurali e vantaggi fiscali. SatisWelfare, a cui fanno capo le attività dei buoni pasto e fringe benefit aziendali, invece ha sede in Italia, a Milano (anche se è controllata dalla lussemburghese Satispay International S.a.r.l). Del resto, in Italia ci sono prospettive interessanti a livello fiscale, con l’esenzione fiscale nell’ultima bozza della legge di bilancio che sale fino a 10 euro. Inoltre, come fu all’inizio per i pagamenti, le commissioni di Satispay sono molto vantaggiose: 1% per gli esercenti che accettano i buoni, zero per i datori di lavoro fino a 10 euro. Di contro, il lavoratore per usufruirne deve iscriversi a Satispay, agganciare il suo Iban e, per godere pienamente dell’esperienza di utilizzo senza scomodità, deve comunque caricare dei soldi sull’applicazione.
Dalla nascita Satispay ha raccolto mezzo miliardo di euro e vede come socio principale – oltre ai fondatori Brignone (8,47%), Dalmasso (8,47%) e Pinta (1,17%) che mantengono il controllo grazie a 5 diritti di voto per ogni azione detenuta – il fondo americano Addition con il 26,89%; presenti anche il fondo Usa Grayhound (8,67%), quello londinese Lightrock (8,14%), i cinesi di Tencent (5,82%), e l’italiana Mediolanum attraverso una sua sgr con il 2,46%. L’azienda da sempre applica alcuni astuti meccanismi per portare raccolta all’app. Ci sono offerte a tempo che promettono all’utente un bonus fino a 30 euro per invitare un amico sull’app: questo però si incassa solo quando l’invitato fa il primo pagamento. Anche l’iniziativa del salvadanaio remunerato può essere un buon collettore di raccolta: si tratta infatti di un fondo monetario (con zero commissioni fino a fine 2025 e uno 0,24% dopo, oltre a commissioni di gestione dello 0,15%), con un rendimento lordo stimato annuale (ma non garantito) del 2,18%. Si tratta di un valore basso e, al netto delle commissioni, è verosimilmente più basso dell’inflazione. Lo stesso documento informativo sull’investimento in uno scenario moderato (quindi mediano) stima un rendimento annuale negativo (-0,1%) al netto dei costi. Forse meglio di un conto corrente classico in banca, ma peggiore di molti altri prodotti d’investimento a rischio ridotto.
Giusto alcune settimane fa, inoltre, Satispay ha lanciato il servizio Buy Now Pay Later, il pagamento che permette di pagare in tre rate le cifre superiori a 30 euro. Un’iniziativa che guarda all’espansione nel credito al consumo; un altro modo per diversificare un’attività che continua a non raggiungere il pareggio di bilancio e che, dal 2029 con il probabile arrivo dell’euro digitale, potrebbe affrontare un’erosione della quota sul mercato dei pagamenti a causa di un competitor sostenuto dalla Bce che si preannuncia essere a costi molto convenienti.
© Riproduzione riservata