Dall’euforia alla paura estrema spesso il passo è molto breve. Quando si parla di Bitcoin ancora di più in quanto la maggiore criptovaluta al mondo ha sempre mostrato un’accentuata volatilità che continua a esserci anche se in misura ridotta rispetto al passato. L’ultimo scrollone ha portato il Bitcoin nel breve volgere di sei settimane dai massimi storici oltre 126mila dollari a una picchiata fino a sotto i 90mila dollari, dilapidando di fatto tutti i guadagni del 2025. Un dietrofront di circa il 35% che ha fatto tornare alla mente lo spauracchio di un nuovo crypto winter (inverno delle criptovalute), ossia un vortice ribassista prolungato delle criptovalute con cui il mercato si scontra ogni volta che le valute digitali vengono vendute duramente in un breve periodo di tempo.
Analizzando i cinque più brutali inverni che Bitcoin ha attraversato, la durata media del ciclo ribassista è stata di circa un anno e mezzo con drawdown (la massima perdita percentuale dal picco al minimo) fino a -93% nel 2011; l’ultimo crypto winter risale al 2021 e durò 18 mesi con un dietrofront del 77%. In aggiunta l’indice Fear & Greed delle criptovalute è sceso a 11, il valore più basso dal mercato ribassista del 2022, segnalando «estrema paura».
Nasdaq
Non un buon segnale per un asset che alcuni – a partire dal numero uno di Blackrock, Larry Fink – hanno ribattezzato l’oro digitale, ma che oggi torna a mostrare dinamiche non certo da bene rifugio, piuttosto un’estensione ad alto beta delle azioni globali, scendendo bruscamente quando le azioni scendono ma non risalendo allo stesso ritmo quando le azioni si riprendono. Una dinamica che vede le criptovalute muoversi quindi nella stessa direzione degli asset a rischio, non contro di essi. In particolare, emerge una correlazione crescente tra Bitcoin e Nasdaq arrivata a 0,8 rispetto una media già alta di 0,53 negli ultimi cinque anni.
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La brusca inversione di tendenza del mercato delle criptovalute, passato da una valutazione record di 4,35 mila miliardi di dollari a circa 3,2 mila miliardi, è coincisa con dichiarazioni meno accomodanti da parte di alcuni membri della Federal Reserve circa la possibilità di una nuova sforbiciata sui tassi nella riunione di dicembre; clima di incertezza che ha provocato una gelata dei flussi verso gli Etf spot statunitensi, che hanno assorbito oltre 25 miliardi di dollari all’inizio dell’anno, ma nelle ultime tre settimane segnano un movimento opposto (deflussi per 3 miliardi) a causa proprio del timore che i dazi trumpiani inneschino un’altra ondata di inflazione e ritardino i tagli dei tassi della Fed. Anche le cosiddette balene bianche, ossia gli investitori di lungo termine che detengono bitcoin per oltre 155 giorni, hanno accelerato le loro vendite (circa 815mila bitcoin negli ultimi 30 giorni, su base mensile il livello più alto da inizio 2024), mentre sono rallentati degli acquisti da parte di aziende che hanno adottato strategie di tesoreria bitcoin (a ottobre le società quotate hanno acquistato solo 14.400 bitcoin, il più basso aumento mensile dell’anno). Tra queste anche Strategy, la società del crypto evangelist Michael Saylor che dal 2020 continua ad accumulare la criptovaluta (ne detiene circa il 3% del totale) ha rallentato gli acquisti e soprattutto nel giro di quattro mesi ha perso il 58% in Borsa arrivando a valere sostanzialmente quanto i bitcoin che detiene. «Strategy risulta come amplificatore in negativo dei movimenti ribassisti di Bitcoin», segnala a Moneta David Pascucci, market analyst di Xtb, ricordando come già nel primo trimestre dell’anno abbia registrato una perdita in concomitanza con un ribasso di Bitcoin di circa il 30%, situazione che si sta ripetendo ora con la stessa entità.
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A far suonare il campanello d’allarme tra gli investitori c’è stato anche un indicatore tecnico conosciuto come death cross, ossia l’incrocio ribassista tra la media a 50 e quella a 200 giorni. Negli ultimi anni le death cross non sempre hanno preceduto crolli, ma alcune, come quella del gennaio 2022, hanno anticipato ribassi profondi: allora il Bitcoin perse oltre il 60% in 300 giorni, scendendo da 43mila a 16mila dollari. Dal 2011 la criptovaluta regina ha registrato ben dodici death cross e le più pesanti si sono verificate nelle fasi finali dei cicli post halving, ossia la ricorrenza ogni quattro anni circa in cui si procede al dimezzamento della ricompensa per l’attività di mining. Il bitcoin ha superato le 80 settimane dall’halving di aprile 2024, arrivando in quella fascia in cui storicamente si sono formati i massimi di ciclo.
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