Le moderne truffe cripto non si basano più sulla fuga immediata dei fondatori, ma sulla costruzione di un ecosistema complesso e sofisticato, che vede coinvolti più attori e società. La messa in scena viene portata avanti con vere e proprie campagne di marketing, narrazioni social studiate al secondo e un racconto del progetto sufficientemente duraturo da sembrare credibile anche agli investitori più accorti. Si tratta del fenomeno delle prevendite di criptovalute, ancora poco diffuso in Italia rispetto al più classico schema Ponzi, ma che anche nel nostro Paese sta iniziando a insinuarsi in molti spazi digitali, al punto da far temere per l’integrità dei risparmi di migliaia di persone. Soprattutto dei giovani che investono basandosi sui consigli che arrivano dai social media e soggetti digitalmente vulnerabili, come gli anziani esposti a tentativi di phishing.
Nella prevendita fraudolenta il meccanismo ruota alla creazione artificiale di una valutazione molto elevata, totalmente sganciata dal valore reale del progetto. Questo consente ai creatori della valuta di raccogliere grandi somme prima ancora che esista un prodotto funzionante o una base utenti. Una volta conclusa la prevendita, il token viene quotato sugli exchange con una capitalizzazione di mercato che appare sostenibile solo perché gran parte dell’offerta è bloccata.
Quando l’offerta inizia a essere rilasciata o quando gli artefici vendono le proprie quote in modo graduale, il mercato corregge la sopravvalutazione e il prezzo scende, trasferendo valore dagli investitori ai fondatori. Il processo è reso opaco dall’anonimato dei team, da conflitti di interesse nascosti e dalla presenza di società collegate che gestiscono marketing, sviluppo e comunicazione. Questo consente ai fondatori di mantenere il controllo dell’intero ciclo di raccolta.
Il Funzionamento
I truffatori- si spiega sul sito TheHolyCoins – mettono in piedi un presunto progetto digitale e vendono token presentandoli come strumenti di investimento, spesso paragonandoli ad azioni per renderli più comprensibili. In realtà il progetto è inesistente o privo di sostanza, e l’unico denaro che circola è quello versato da chi viene convinto – con promesse di rialzi futuri – a comprare quei token nella speranza di rivenderli a un valore maggiore. Per ingolosire ulteriormente gli investitori, i criminali dichiarano un’enorme quantità di token e li attribuiscono a valutazioni elevate, ma quasi tutti restano bloccati: ne mettono in vendita solo una piccola parte, così nessuno si accorge della truffa. Nel frattempo tengono vivo il progetto con post, aggiornamenti e finte presentazioni per dare l’idea di essere al lavoro. Quando il token arriva sugli exchange, il prezzo può salire leggermente grazie alla curiosità iniziale. Poi arriva il trucco finale: i creatori cominciano a vendere i token bloccati o quelli della prevendita. L’offerta sul mercato esplode, il prezzo crolla e gli investitori perdono soldi, mentre loro hanno già incassato. I fondi vengono poi spostati in società collegate per far perdere le tracce del denaro.

«Le criptovalute coinvolte», spiega a Moneta Alessandro Keller, avvocato penalista esperto di diritto penale dell’economia e dell’impresa , «non sono quasi mai bitcoin. Solitamente i progetti fraudolenti riguardano altcoin. Quando nelle prevendite vengono promessi guadagni su cripto non ancora lanciate sul mercato, si offre la possibilità di acquistarle in esclusiva e in via prioritaria. Una volta raccolti gli importi, i truffatori spariscono e la cripto non viene mai lanciata. Questo accade proprio perché, trattandosi di monete non ufficiali come bitcoin, il sistema risulta più credibile agli occhi di chi ha poca esperienza».
«I truffatori tendenzialmente sono persone che lavorano molto con scambi nel dark web», spiega a l’esperto. «Parliamo di soggetti che operano nel dark web, dove il sistema di pagamento più diffuso sono proprio le cripto, perché la chiave criptata consente di trasferire importanti importi da una parte all’altra del mondo, ed è protetta dal codice necessario per aprire il wallet».
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Un tempo anche le truffe in criptovalute erano riconoscibili perché i ladri scappavano subito col malloppo. Oggi, invece, il mondo criminale cripto si è fatto più scaltro. Le prevendite raccolgono milioni e mantengono una community attiva grazie a solide campagne di marketing, annunci pubblicitari, sponsorizzazioni sui social e sui media. «Mi è capitato di assistere sia truffati sia indagati per truffa o esercizio abusivo dell’attività finanziaria nel settore cripto», racconta ancora Keller, «In passato c’è stato un periodo molto lungo in cui sostanzialmente non c’era nessun tipo di regolamentazione». Poi, nel 2017, sono state introdotte le prime normative nazionali che hanno qualificato la criptovaluta come strumento finanziario a tutti gli effetti, da qui nasce la necessità di applicare le regole del Testo unico della finanza.
Il Tuf distingue chi compie queste operazioni perché abilitato e autorizzato da chi le svolge illegittimamente, approfittando della complessità tecnica dello strumento. «Le monete virtuali sono molto difficili da capire tecnicamente e per questo chi incappa in queste truffe è spesso qualcuno che viene a conoscenza dei progetti sui social, attraverso campagne pubblicitarie, oppure persone deboli, scarsamente digitalizzate, attratte da promesse di guadagni facili».
I truffatori raggiungono quindi un ampio spettro di soggetti, dai più giovani ai più vulnerabili, tramite email di phishing, messaggi WhatsApp o sms. Spesso mostrano un white paper in cui promettono guadagni veloci e sicuri, dichiarando di aver già raccolto milioni. Le persone accedono a questi sistemi e iniziano a pagare. «Uno degli ultimi casi che ho seguito – prosegue l’avvocato – riguarda un truffato che riceveva una serie di messaggi in cui gli veniva chiesto di effettuare ulteriori versamenti per sbloccare i guadagni già ottenuti in cripto. Ovviamente lo sblocco non avveniva mai, e lui aveva già versato decine di migliaia di euro». I truffatori sono solitamente all’estero, così come i wallet dove vengono trasferiti gli importi. Le indagini incontrano quindi difficoltà aspre.
Per questo «una delle prime attività da fare, quando ci si accorge di essere incappati in una truffa di questo tipo, è presentare una querela. Non è detto però che sia sufficiente: è necessario lavorare tramite rogatorie internazionali o ordini di indagine europei». Le procure si coordinano con quelle degli altri Paesi coinvolti per tentare di recuperare gli importi. In Italia è discretamente diffusa la truffa del pre-sale, ma a dominare resta ancora il classico schema Ponzi. Spesso si tratta di soggetti che promettono guadagni senza alcun accordo scritto sulla restituzione del capitale. «Questi soggetti si impegnano a pagare l’1, il 2 o il 3% al mese a fronte di un capitale inizialmente investito. All’inizio gli investitori guadagnano, poi pretendono la restituzione del capitale, che però non può essere restituito perché è stato utilizzato per pagare gli interessi ad altri soggetti. Quando tutti chiedono il rimborso, il sistema crolla: manca la base per restituire il denaro. Questo è uno dei sistemi oggi più in voga in Italia».
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