C’è uno spettro che da qualche tempo agita il sonno dei grandi banchieri tradizionali. Come fronteggiare l’assalto del fintech, le banche digitali che senza costosi sportelli stanno minando il modello del banking, incentrato soprattutto sul credito e che espone a eventuali sofferenze e soprattutto a necessità di grandi capitali accantonati?
Nulla di tutto ciò per le agili nuove banche che viaggiano via bit. E il caso più eclatante è quello di Revolut, che dalla Lituania, sua sede legale, si sta espandendo non solo in tutta Europa, ma addirittura a livello globale. Soprattutto la banca fondata nel 2015 da Nik Storonsky e Vlad Yatsenko e con sede operativa a Londra sta correndo come un missile sia nell’incetta di clienti che su ricavi e utili.
Una marcia poderosa che vede oggi Revolut con una base di clienti saliti a 65 milioni nel mondo dai poco più di 16 milioni nel 2021, l’anno del primo utile della banca virtuale. Diciannove i Paesi che copre e soprattutto la corsa dei clienti ad aprire il conto online ha portato nelle casse del gruppo ben 22,5 miliardi di sterline sotto forma di depositi.
Auto valutazione
La crescita sotto tutti i punti di vista è impressionante. E si proietta nel conto economico. Revolut, che non è quotata e che si sarebbe auto-valutata quest’autunno ben 55 miliardi di sterline, frutto del valore delle vendite di sue azioni ai dipendenti, ha chiuso i conti dello scorso anno con introiti per 3,1 miliardi di sterline (che al cambio con l’euro vogliono dire oltre 3,5 miliardi).
I ricavi crescono al ritmo esplosivo dell’80% all’anno negli ultimi tre anni. E con le entrate, frutto soprattutto come vedremo delle commissioni sui servizi offerti e da qualche tempo anche sui prestiti, che corrono, ecco che oggi Revolut ha tagliato il traguardo di oltre 1 miliardo di sterline di utili pre-tasse che diventano 790 milioni di profitti netti. Una marcia rossiniana dato che il primo utile è comparso nel 2021, sei anni dopo la nascita della banca digitale, partita nel 2015 come app finanziaria e poi trasformatasi in money transfer. E infine in tutti i servizi connessi al circolo del denaro a livello globale dal cambiavalute, fino al trading azionario e in cripto offerto da qualche anno alla clientela. Un passo di carica che ora vede la piattaforma fintech al vertice come profittabilità tra le banche digitali concorrenti e ancor più sulle banche tradizionali. Revolut come mostra un report di Ubs nel 2024 ha prodotto un Rote (ritorno sul capitale tangibile) del 38% a fronte del 18% di Starling e del 9% di Monzo, due dei suoi diretti competitor inglesi. E la redditività è molto elevata rispetto alle banche tradizionali. Barclays ha un Rote del 10%; Hsbc del 15% e Natwest del 17%.
Il modello di business tutto sommato pare quasi elementare. Ogni transazione sull’app di Revolut di qualsiasi tipo (dal trasferimento di denaro alle movimentazioni di trading e cosi via) produce commissioni che non sono certo povere. Più volumi si generano dai clienti, più Revolut incassa. Tanto per dare un’idea, nel 2024 sono state generate sulla piattaforma della fintech ben 1,3 miliardi di transazioni.
E le commissioni portate a casa sono decisamente interessanti. Nel solo 2024 i ricavi da servizi hanno generato un valore di oltre 1,8 miliardi di sterline su 2,6 miliardi di ricavi totali. Da lì arriva infatti il grosso delle entrate. E questo sfata il mito che attira i nuovi clienti con il conto online di base lanciato gratuitamente. È solo lo specchietto per le allodole, dato che conti e carte di credito hanno più di un abbonamento non certo free per beneficiare dei servizi.
I depositi
Il conto gratis è la porta di accesso per procacciare nuova clientela, per poi offrire mano a mano non solo ai clienti-famiglia, ma anche e soprattutto a business man e imprese, gamme di servizi con abbonamenti che partono da 10 euro al mese in su.
L’altra grande fonte di entrate è la gestione e gli investimenti di tesoreria sugli oltre 22 miliardi di depositi dei clienti. Solo da poco, come vedremo, Revolut si è messa anche a prestare soldi e fare credito grazie alla licenza bancaria strappata in molti Paese soprattutto a livello europeo. L’Iban lituano è stato via via trasformato grazie al percorso della licenza in Iban nazionali che danno ovviamente grandi vantaggi alla fintech.
I prestiti per ora pesano ancora poco, anche se crescono sull’onda della trasformazione della fintech in vera e propria istituzione creditizia. Nel 2024 i crediti erogati sono arrivati a superare 900 milioni di sterline. Su cui la banca ci fa il suo bel margine d’interesse. E così il tesoro dei depositi usato solo marginalmente per fare credito (900 milioni su 22,5 miliardi di depositi è davvero poca cosa) viene investito per attività a breve e presso la Bce.
Con un rendimento che batte alla lunga il costo dei depositi che sono remunerati di fatto a zero.
Fin qui il grande successo di quella che era nata solo come un’app finanziaria e che ora ha oltre 52 milioni di clienti nel mondo. Senza il peso del costo degli sportelli fisici, ecco che i costi sono ben più bassi dell’attività bancaria tradizionale. Si spende in tecnologia evidentemente e in marketing, la grande leva strategica per fare crescere anno su anno il parco clienti, la miniera d’oro di ogni banca.
Un recente report di Ubs ha stimato che la sola spesa per il marketing e la pubblicità valga non meno di 360 milioni di sterline, di fatto quasi il 15% dei ricavi di un anno. E tradotto in soldoni sono 7 sterline spese a cliente all’anno per tenerseli stretti e incrementare il parco abbonati.
I rischi
Ma non tutto riluce ovviamente. Gestire miliardi di depositi della clientela dovrebbe sottoporre a una stretta regolazione da parte delle autorità bancarie sia nazionale che sotto il cappello della Banca centrale europea.
Finora Revolut è ancora nella fase di un prestatore di meri servizi di trasmissione del denaro, ma ora che comincia a fare credito occorrerà da parte della Vigilanza fare molta attenzione. Il capitale netto accumulato dalla gestione, molto profittevole negli ultimi anni, vale 2,6 miliardi di sterline. Ma se Revolut spingerà sull’acceleratore – come pare – verso la trasformazione in banca a tutti gli effetti dovrà dimostrare non solo una attenta gestione del credito, ma dovrà anche fare accantonamenti di capitale ben più robusti.
E non è un caso che proprio dall’Inghilterra siano giunte le prime avvisaglie di perplessità. La banca ha ottenuto sì la licenza bancaria nel luglio 2024, ma con una serie di restrizioni dalla Prudential Regulation Authority (Pra), l’autorità di vigilanza bancaria del Regno Unito. Per la piena licenza, che sarebbe in attesa, i regolatori (tra cui la Bank of England) stanno esaminando attentamente i controlli interni e la gestione del rischio dell’azienda, visti i suoi piani di espansione globale. E proprio i controlli sui rischi sono la parte più delicata perché Revolut possa operare pienamente nel settore del credito. Non a caso pochi giorni fa negli stress test della Bce sulla solidità patrimonile è emerso che Revolut Bank sarebbe l’istituto meno solido in Europa, con un fabbisogno supplememtare di capitale del 4,5%; quando alle migliori banche europee viene chiesto un coefficiente aggiuntivo tra l’1 e il 2 percento. Ma non c’è solo un tema di affidabilità e solidità patrimoniale e di gestione dei rischi. C’è anche un tema di affidabilità in genere, soprattutto sulla comunicazione verso i clienti.
In Italia l’Antitrust ha avviato l’estate scorsa un’istruttoria su Revolut. Come ha raccontato MilanoFinanza, partendo dai servizi di investimento, Revolut «avrebbe promosso la possibilità di investire in azioni evidenziando l’assenza di commissioni e non chiarendo la presenza di ulteriori costi e limitazioni», si legge in una nota dell’Authority guidata da Roberto Rustichelli. In più, secondo l’Antitrust, la società non avrebbe informato i clienti del fatto che gli investimenti a commissioni zero «includono azioni frazionate» con «notevoli differenze in termini di diritti di voto e trasferibilità», né avrebbe spiegato come impostare gli strumenti di stop-loss e take-profit per gestire il rischio negli investimenti in criptovalute, particolarmente volatili. Informazioni non complete o non chiare sarebbero state fornite anche nell’ambito dei servizi bancari, in particolare «su condizioni e modalità di sospensione, limitazione e blocco del conto». Le società sotto indagine, continua la nota dell’Agcm, «avrebbero adottato modalità aggressive nel sospendere o bloccare i conti, senza fornire un adeguato preavviso né garantire ai clienti confronto o assistenza». Infine, Revolut non avrebbe dato tutte le informazioni necessarie per ottenere l’Iban italiano, disponibile da gennaio 2025, al posto dell’Iban lituano utilizzato fino all’anno scorso anche in Italia.
Nel frattempo Revolut viene però cercata come compagno d’avventura da molti soggetti. L’ultimo accordo di collaborazione di pochi giorni fa è tra la divisione business di Revolut con la società Jet Hr, un gruppo tech che attraverso una piattaforma digitale integrata sta eliminando per le imprese tutta la burocrazia legata alla gestione delle risorse umane per le aziende con strutture complesse.
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