Svolta salutista degli italiani che a tavola quest’anno hanno aumentato i consumi dei prodotti base della dieta mediterranea. Il primo semestre del 2025 evidenzia infatti un quadro di particolare vitalità per i prodotti freschi che tornano al centro delle scelte delle famiglie, riflettendo una crescente attenzione alla qualità, alla salubrità e alla sostenibilità dell’alimentazione quotidiana. La spesa degli italiani è cresciuta del 5,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, dopo il +2% del 2024, sullo stesso periodo dello scorso anno secondo l’Ismea. In particolare gli incrementi in quantità più significativi vanno dal +5% degli ortaggi freschi al +8% per le uova, dal +7% per il miele al +6% per la carne di pollo, dal +4% per il pesce fresco al +5% per i formaggi freschi e per il pane. Anche se di poco ad aumentare del 2% in quantità sono anche la pasta fresca, le conserve di pomodoro e la frutta fresca ma è soprattutto l’olio extravergine di oliva a registrare le migliori performance con un balzo del 15%. Una tendenza che arriva proprio alla vigilia del verdetto ufficiale per il riconoscimento della cucina italiana quale Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità Unesco, il prossimo 10 dicembre a Nuova Delhi, come annunciato dal ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida che parla di «grande e meritato traguardo».
Kennedy
Una “promozione” attesa proprio nel momento in cui sembra che l’Unione Europea si prepari tassare i cibi spazzatura secondo la bozza del Cardiovascular Health Plan, il nuovo piano per la salute cardiovascolare che la Commissione europea presenterà a dicembre, secondo Euractiv. L’Unione non è intervenuta fino a ora sull’assunzione diffusa di alimenti ultraprocessati ad alto contenuto di grassi, zuccheri e sale, contro i quali negli Usa è in atto una vera e proprio campagna dissuasiva promossa dal capo del dipartimento della Salute Robert Kennedy Jr, nipote del presidente assassinato Jfk. La bozza di testo della Commissione Europea attribuisce a questi fattori un peso importante della spesa sanitaria e definisce la prevenzione come la misura «più efficace dal punto di vista dei costi». In quest’ottica, il commissario europeo alla Salute Olivér Várhelyi propone per la prima volta l’introduzione di prelievi Ue su prodotti alimentari ultraprocessati a partire dal 2026 perché «le malattie non trasmissibili si combattono anche a tavola: servono politiche che promuovano cibi sani, locali e sostenibili, contrastando la diffusione dei prodotti ultraprocessati». «La dieta mediterranea è una risposta concreta e scientificamente riconosciuta per proteggere la salute globale», aveva dichiarato recentemente Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia all’udienza interattiva multilaterale delle Nazioni Unite presso il quartier generale dell’Onu a New York.
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Nonostante la spinta internazionale verso prodotti salutari e l’andamento positivo della domanda del mercato al consumo, due dei simboli della dieta mediterranea come grano e olio d’oliva Made in Italy sono però sotto attacco, con gli arrivi di prodotto di bassa qualità dall’estero che mettono a rischio il lavoro degli agricoltori italiani facendo crollare le quotazioni all’origine, secondo la Coldiretti che denuncia pressioni e speculazioni: «Oltre la metà del grano duro canadese destinato alla produzione di pasta è quest’anno di qualità pessima con chicchi fortemente germogliati, danni da insetti e funghi, secondo i risultati delle analisi delle autorità del Canada sul raccolto nazionale». A rendere ancora più inaccettabile la situazione è il fatto che il grano canadese viene trattato con il glifosato, il cui utilizzo nel nostro Paese è vietato nella fase di pre raccolta a causa dei timori per i possibili effetti cancerogeni. Si tratta di una vera e propria beffa per i nostri agricoltori, considerato che gli arrivi di prodotto canadese nei porti tricolori nel 2025 sono praticamente raddoppiati, con un effetto dirompente sulle quotazioni del prodotto nazionale. Un’invasione spinta anche dal dazio zero che l’Unione Europea ha concesso ai cereali del Paese dell’acero, frutto dell’accordo commerciale Ceta, rispetto al quale la Coldiretti è stata l’unica organizzazione a opporsi alla ratifica dell’intesa.
Difficile anche la situazione dell’uliveto italiano con le importazioni di olio straniero quasi raddoppiate nel 2025 con un’accelerazione che alimenta le speculazioni ai danni dell’extravergine italiano, le cui quotazioni sono crollate del 20% nel giro di poche settimane, piombando sotto i costi di produzione. Nei primi otto mesi dell’anno gli arrivi di olio d’oliva straniero sono saliti a 427 milioni di chili, il 67% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un’impennata nel mese di agosto (+93%), alla vigilia della campagna di raccolta. Coldiretti e Unaprol chiedono all’Ispettorato Centrale Controllo Qualità l’istituzione di una cabina di regia straordinaria per coordinare le operazioni di contrasto alle irregolarità nel settore olivicolo e il monitoraggio dei contratti futures sulle Borse Merci per prevenire speculazioni e frodi sull’origine. Per sostenere la produzione nazionale è importante però anche una maggiore attenzione nel momento di fare la spesa verificando l’origine che per prodotti base della dieta mediterranea come l’extravergine di oliva e la pasta deve essere indicata obbligatoriamente in etichetta, anche se non è sempre con grande evidenza.

Filiere locali
Una scelta importante, per garantirsi prodotti di qualità, al 100% Made in Italy e sostenibili dal punto di vista sociale ed ambientale, è quella di rivolgersi ai mercati degli agricoltori grazie al fatto che in Italia è presente il sistema Campagna Amica che coinvolge 15mila aziende agricole che ogni anno incontrano oltre 15 milioni di consumatori alla ricerca di cibi locali e genuini. La più grande rete di vendita diretta agricola d’Europa, considerata un modello a livello mondiale per lo sviluppo di filiere locali. Una realtà che è ormai parte delle abitudini di consumo degli italiani: l’86% vorrebbe un mercato contadino vicino casa secondo una recente ricerca Noto Sondaggi. In meno di 20 anni sono nati ben 1.200 mercati contadini di Campagna Amica aperti, nei piccoli e grandi Comuni, con una presenza sempre più diffusa che favorisce il recupero di edifici e aree abbandonate. L’ultimo arrivato è il mercato coperto di Torino. Il farmers market è ospitato nei locali dell’ex Cinema del Corso, gioiello liberty che negli anni Venti era uno dei cinema più importanti a livello nazionale, distrutto poi da un incendio nel 1980 e ora restituito alla città. Comprende il mercato contadino a chilometro zero, l’enoteca dedicata ai vini del territorio, l’area street food e un ristorante.
I Forni
Il nuovo mercato rappresenta un esempio di rigenerazione urbana molto importante in una situazione in cui negli ultimi 12 anni l’Italia ha registrato una riduzione di oltre 140mila attività del commercio al dettaglio, tra negozi e attività ambulanti, con cali particolarmente accentuati nei centri storici e nei piccoli Comuni, secondo Confcommercio che stima la possibilità di chiusura per un quinto delle attività con il rischio reale di desertificazione per i centri urbani entro il 2035. E nel settore alimentare la situazione è particolarmente grave secondo Confesercenti che evidenzia come, nel periodo 2014-2024 in 565 Comuni, oltre 3,8 milioni di persone non possono più acquistare il pane in una panetteria vicino a casa, con più di 1,2 milioni di residenti che hanno perso l’accesso ai forni. Anche per altri generi alimentari la situazione è drammatica: circa 3 milioni di persone non hanno più un negozio di bevande, 2,3 milioni non possono più acquistare pesce fresco in pescheria, 2,1 milioni non trovano più un negozio di ortofrutta, 1,6 milioni non possono più rivolgersi a una macelleria, e quasi 800mila devono rinunciare anche ai minimarket. In 10 anni (2014-2024), infatti, sono spariti in Italia 1.077 forni (-3,9%) e 814 panetterie (-19,4%), 111 negozi di bevande (-2,2%), 468 pescherie (-6,5%). La situazione peggiore è per le macellerie che contano su 5.247 unità in meno (-17,6%) e per le latterie con 407 unità in meno (-22,6%).
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