Bolla o non bolla? È l’interrogativo che imperversa sui mercati nelle ultime settimane in scia alle valutazioni raggiunte dai colossi tech statunitensi. Il parallelo con la bolla dot.com del 2000 appare però azzardato. “Le valutazioni attuali sono meno estreme rispetto alla bolla dot.com e la crescita di questi anni dei valori di Borsa è stata accompagnata da una altrettanto forte crescita degli utili, inoltre gli attuali leader tecnologici presentano modelli di business molto forti”, sottolinea Maria Paola Toschi, Global Market Strategist di J.P.Morgan AM, ha illustrato l’Outlook per 2026.
A far discutere sono soprattutto gli investimenti in capex colossali da parte degli hyperscaler, le varie Microsoft, Alphabet, Meta e Oracle. “Il punto interrogativo è sul ritorno di questi investimenti con il rischio che si crei un problema di sovracapacità produttiva – prosegue la strategist di JPM AM, che fa riferimento anche a Nvidia, principale beneficiaria del boom di domanda legata all’IA. “Continuerà a battere le stime? Se così non sarà potrà generare una fase di volatilità importante per tutto il mercato”.
Due rischi da monitorare e possibili contromosse
JP Morgan AM rimane positiva per il nuovo anno, ma ritiene importante una ampia diversificazione , soprattutto su Europa e Asia per diluire l’esposizione agli Stati Uniti, che rimangono comunque un mercato con grandi potenzialità. Non mancano i punti interrogativi da tenere in considerazione. Il primo rischio è l’inflazione, capire se sarà temporanea o strutturale. Il secondo è, come accennato, una possibile bolla degli asset. “Nel primo caso il precedente del 2022 è di un calo simultaneo di azioni e bond – argomenta Maria Paola Toschi – . A tenere sono state materie prime, legname, trasporti e infrastrutture, l’non invece ha invece aiutato a dimostrazione che a guidare le sue quotazioni sono altri temi, a partire dalla domanda da parte dell’industria e soprattutto delle banche centrali che negli ultimi due anni sono state un forte driver”.
In caso di bolla degli asset, invece, nelle ultime due crisi (2000 e 2008) le obbligazioni hanno agito da cuscinetto, la classe che aiuta di più sono bond di lungo termine in scia a potenziali tagli dei tassi cospicui, mentre il corporate investment grade appare più correlato alle azioni”. “Il settore tech chiaramente e più esposto, mentre alcuni difensivi potrebbero limitare il drawdown così come i titoli high dividend”.
Un terzo elemento di disturbo per il 2026 è quello che accadrà alla Federal Reserve. “Il rischio Fed è grande ed è legato a doppio filo a tema inflazione – prosegue l’esperta – se arriva un governatore allineato a Trump crea un grosso problema su indipendenza della Fed. L’inflazione può essere generata da tariffe, politiche fiscali e monetarie espansive, calo immigrazione. Un tema centrale per i mercati, a cui si somma un dollaro che si svaluterà. E l’America rischia di essere meno credibile anche a livello di debito”.
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