Mangiate arance, contengono vitamina C, supportano il sistema immunitario. Però non buttate le bucce, possono diventare un affare. Chiedete ai signori della Orange Fiber, illustre azienda di Catania che ha alla presidenza Enrica Arena con una missione specifica: «Creiamo materiali sostenibili e innovativi per la moda a partire dai sottoprodotti dell’industria del succo di agrumi, utilizzando progetti innovativi e brevettati e collaborando con aziende leader del settore». Ogni anno in Italia si producono 1 milione di tonnellate di scarti di agrumi. Ricapitoliamo, modificando il testo di Ci vuole un fiore, canzone di Sergio Endrigo (per fare un tavolo ci vuole il legno…) dunque: arancia, buccia, estrazione della cellulosa, creazione della fibra, filatura, tessitura.
Oro di Sicilia
E qui incomincia l’avventura, perché l’oro di Sicilia viaggia verso Napoli dove la preziosa miniera di Maurizio Marinella trasforma lo scarto delle bucce, come pepite, in cravatte e foulard, da tre anni l’idea ha preso corpo e il ministero dell’Ambiente ha esaurito il magazzino, magnifico è l’esempio di sostenibilità green, grazie all’intuizione geniale, sincera, immediata, napoletana verace, della famiglia-ditta-azienda in Riviera di Chiaia, al civico 287. Qui tutto è rimasto come cento e undici anni fa ma tutto si è aggiornato, i Fab Four del golfo di Napoli, Eugenio, Luigi, Maurizio, Alessandro, quattro generazioni per una storia unica, esclusiva, affollata di personaggi, personalità, lettere, autografi, fotografie, Totò si aggiusta il papillon, Eduardo e Mastroianni, Luchino Visconti, Clinton assaggia la sfogliatella, Bush e i Windsor. Nessuno è cliente, tutti sono ospiti. Re Carlo III ha ricevuto, in una delle sue dimore londinesi, Maurizio Marinella che, per rispetto e protocollo, non ha potuto portare in regalo nessuna cravatta o sciarpa, del resto già presenti in uno dei mille guardaroba di sua maestà, ma, insieme, hanno parlato delle bucce di arance. Re Carlo è assai sensibile al dibattito ecologico e seriamente impegnato nella tutela della natura, dunque dal pensiero all’azione, quando il sovrano e la consorte regina sono venuti a Roma, Maurizio li ha raggiunti all’ambasciata inglese e qui ha fatto dono di due cravatte e foulard confezionati con lo scarto delle scorze d’arancia. Il re ha voluto indossare una cravatta azzurra nella recente visita a Fortnum&Mason, l’unico emporio di Casa reale.
Lo stesso impegno green muove il nuovo gruppo di Marinella, una ventina di giovani che Maurizio e il figlio Alessandro hanno coinvolto nell’ecommerce, territorio inesplorato e fertile che non ha assolutamente cambiato la tradizione del negozio storico: apertura alle 6.30, caffè, sfogliatella, la luce, le voci, il respiro della vera Napoli, antica e moderna assieme. Cambiano le mode, si abbassa il gusto, sparisce il rispetto, domina la sciatteria, con c’è spazio per l’educazione, però resistono le tradizioni da quel giorno dell’anno 1914 in cui nonno Eduardo decise di incominciare questa di Marinella che è la storia vera. Eduardo accese un mutuo di lire sessanta cinque mila, presso il Banco di Napoli, versando trenta cinque mila in contanti sul totale di centomila, cifra comunque colossale all’epoca, per l’acquisto dei venticinque metri quadrati del sogno che sarebbe diventato l’oro di Napoli e non soltanto. In sartoria c’erano padre, madre e figlie, Lucia, Anna e Maria a tagliare e cucire sete eleganti. Un secolo e più dopo, Marinella ha resistito a mille tentativi di imitazione e di acquisto, si sono presentati, da ogni dove, affaristi e compratori, dalla Francia, una griffe, famosa nel settore dell’abbigliamento femminile, ha corteggiato Maurizio, un jet privato a disposizione, l’offerta clamorosa, il marchio trasferito a Parigi, due giorni di pensieri tormentati, confessioni con i commercialisti e i parenti stretti, poi la telefonata, il grande rifiuto: Marinella è un’emozione, l’emozione non è in vendita, resiste il civico 287 insieme con il profumo che ne porta il nome.
L’album di memorie scopre che trentaquattro anni fa arrivò una lettera da New York, un certo Donald Trump scriveva di essere pronto a offrire gratuitamente un negozio nell’edificio a lui medesimo intitolato, la Trump Tower. Maurizio, tenendo, tremante in mano, la lettera, si presentò a don Luigi, che facciamo? domandò. Il padre non era tipo da avventure commerciali, aveva male tollerato che Maurizio si fosse iscritto all’università perché così si distraeva dalle faccende di negozio, poi non aveva accettato la scelta di utilizzare il Pos per gli incassi, lui era abituato, dopo ogni chiusura serale, a contare i soldi per pagare le bollette della luce e del gas e i dipendenti, non sapeva e non si fidava di che fine facessero gli stessi denari nascosti in quel dispositivo elettronico; dunque, già infermo negli anni, dinanzi a quel foglio, brontolò come sempre: «Maurì, l’America, l’aereo, come facciamo? Dobbiamo assumere due signorine, spiegare loro la nostra storia. No, non si fa». Maurizio prese carta e penna e scrisse la risposta: «Gentile signor Trump, la ringraziamo per il suo pensiero gentile ma noi siamo affezionati a Napoli e preferiamo restare qui». Trentaquattro anni dopo, è cronaca di questi giorni, un certo Donald Trump, ricevuti, da un fedelissimo amico, una cravatta e un foulard made in Napoli che Marinella ha voluto donare, ha di nuovo scritto una lettera allo stesso indirizzo e questa così recita: «Caro Maurizio, La First Lady e io abbiamo sinceramente apprezzato il tuo gentile pensiero di regalarci una bellissima cravatta e uno splendido foulard. È davvero speciale la storica tradizione di inviare i vostri preziosi prodotti alla Casa Bianca e ti ringraziamo per la tua gentilezza affettuosa. L’America e i nostri alleati italiani sono forti grazie a persone come te che credono e difendono i grandi ideali di fede, famiglia, comunità e Paese prima di tutto. Che Dio continui a benedire te, la tua famiglia e la tua attività. Cordialmente Donald Trump».

Il Giappone
Vanno così, come in una giornata di sole a Mergellina, le storie nel presepe Marinella. Venti milioni di fatturato, 74 dipendenti, cinque negozi in Italia, uno in Giappone, uno a Londra, forse un imprevisto capriccio verso Madrid, ma non c’è tempo per accomodarsi sulla poltrona in cuoio verde che sta tronfia nel negozio in Riviera di Chiaia a memoria di anni grandiosi. Insieme con le sfogliatelle e il caffè per gli ospiti clienti, Maurizio ha pensato e voluto aiutare un pastificio di Gragnano sull’orlo della chiusura, così ha rilevato il venti per cento della Gentile, rivestendola con la raffinatezza del colore blu e del confezionamento elegante, dal forno esce pure il panettone, una scoperta “grande grande grande” anche per la signora Mazzini, in arte Mina da Lugano. Non buttate la buccia d’arancia, azzurra è la cravatta del re, «tutto è azzurro a Napoli, anche la malinconia è azzurra» (Libero Bovio).
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