C’è un equivoco di fondo che attraversa le narrazioni entusiaste sulla rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Un equivoco che, a ben vedere, rischia di orientare male anche le strategie degli investitori più sofisticati. Si parla di algoritmi, di modelli generativi, di Gpu sempre più potenti, di data center che spuntano come funghi. Ma si tace, quasi con pudore, sull’unico elemento senza il quale tutto ciò non funzionerebbe nemmeno per un secondo: l’energia.
Il vero perno del nuovo capitalismo digitale non è l’IA. È l’energia. Può sembrare un’ovvietà. Ma lo diventa meno quando si osserva la dinamica reale dei consumi e la velocità con cui la domanda elettrica cresce in proporzione diretta allo sviluppo delle tecnologie che l’opinione pubblica considera immateriali. In realtà, non c’è nulla di immateriale: dietro la magia dell’IA c’è una fabbrica titanica di elettroni.
I dati più recenti lo mostrano con chiarezza. Secondo un rapporto della International Energy Agency, il consumo dei data center — amplificato dall’esplosione dell’IA — potrebbe arrivare a quasi 1.000 TeraWh entro il 2030, un valore che equivale al fabbisogno annuale di un Paese avanzato di medie dimensioni. Goldman Sachs stima un incremento del 165% della domanda energetica generata dall’infrastruttura digitale in soli sette anni. E queste non sono proiezioni apocalittiche: sono stime basate su tecnologie già distribuite.
Il punto è che stiamo entrando in un’era in cui non è più l’algoritmo a determinare la velocità del progresso, ma la capacità della rete elettrica di sostenerlo. Se l’intelligenza artificiale è il nuovo motore dell’economia, l’elettricità è il carburante, e come sa chiunque si occupi di mercati, la scarsità di carburante può fermare qualunque motore, anche il più sofisticato. Poiché la stessa infrastruttura fisica su cui poggia la rivoluzione digitale sta mostrando segnali di stress, vale dunque proporre qualche riflessione.
Studi recenti, condotti in particolare negli Stati Uniti, indicano che la crescita dei data center sta già generando tensioni sulle reti locali. Non parliamo solo di maggiore domanda: il problema riguarda la capacità di garantire continuità, stabilità, ridondanza. L’IA non tollera blackout. Non tollera interruzioni. Richiede flussi energetici continui e sempre disponibili. In questo scenario, il vero vantaggio competitivo dei prossimi dieci anni non sarà detenuto dalle aziende che producono modelli sempre più grandi, ma da quelle — e dai Paesi — che sapranno assicurare energia abbondante, sicura e a costo contenuto. Chi avrà energia, avrà crescita. Chi non ne avrà, resterà indietro.
Il tema è ancora più cruciale perché, in parallelo, è in corso un’altra trasformazione: la decarbonizzazione. L’Europa, gli Stati Uniti, la Cina: tutti stanno accelerando verso una riduzione delle emissioni nel settore energetico. Ma questa corsa si sovrappone alla spinta — altrettanto forte — dell’economia digitale verso una domanda elettrica in aumento continuo. La conclusione è semplice: se la transizione energetica non correrà più veloce della rivoluzione digitale, la rivoluzione digitale si fermerà.
Per questo motivo l’energia solare, e più in generale le rinnovabili, non sono più un capitolo del green budgeting: diventano la condizione materiale e strategica per la crescita del settore tecnologico. Ma fino a quando gli impianti di produzione non saranno perfettamente efficienti – e non sarà tra breve, come invece ci hanno narrato fino a ieri – gas, carbone e petrolio saranno gli argomenti dominanti. L’auspicio è che l’energia da fusione prenda presto il sopravvento, cosa che però avverrà non prima della metà degli Anni Trenta.
Alcuni analisti, e non i meno autorevoli, già parlano di un’inedita «geopolitica del watt». In un mondo in cui la produzione industriale si digitalizza, in cui la finanza richiede server sempre più potenti, in cui la sanità affida diagnosi e processi vitali a sistemi di IA, il potere non sarà esercitato da chi possiede il miglior software, ma da chi può garantire l’energia necessaria a farlo operare ventiquattr’ore su ventiquattro.
Sarà Power Trade
Gli investitori istituzionali, storicamente attratti dal settore tech come veicolo primario dell’innovazione, farebbero bene a considerare questo cambio di prospettiva. L’asset strategico del decennio non è l’algoritmo, ma la fonte energetica che lo alimenta. La vera “AI Trade” potrebbe rivelarsi un “Power Trade”. E non si tratta solo di allocazione settoriale. Si tratta di comprendere dove si concentrerà il nuovo collo di bottiglia industriale. Se nel secolo scorso la strozzatura era il petrolio, in quello attuale sarà l’elettricità — e soprattutto la capacità di produrla con costi bassi, impatto sostenibile e scalabilità elevata. Non è immaginabile che il settore tech possa crescere con la stessa progressione esponenziale osservata negli ultimi dieci anni, se non si risolve il problema dell’approvvigionamento energetico. Per questo è probabile che vedremo partnership sempre più strette tra big tech e utility, tra operatori dell’IA e produttori di energia. Non è un caso che alcuni colossi stiano già firmando contratti di lungo periodo per accaparrarsi gigawatt di capacità solare o eolica. È il segnale che il mercato ha cominciato a capire: la vera competizione non sarà sugli algoritmi, ma sugli elettroni.
A ben vedere, il capitalismo digitale sta tornando molto più materiale del previsto. Il cloud è fatto di server che si riscaldano; l’IA è fatta di chip che consumano; la rete è fatta di rame, fibra e trasformatori. Ed è per questo che la linea di faglia non è tra chi fa software e chi fa hardware, ma tra chi controlla la produzione dell’energia da cui tutto dipende e chi la consuma. L’investitore attento dovrebbe quindi iniziare a guardare al settore energetico non come un comparto tradizionale e maturo, ma come la piattaforma di crescita dell’intero sistema tecnologico. In altre parole: ciò che oggi appare come un tema laterale, nei prossimi anni diventerà centrale. E chi lo avrà compreso per tempo, avrà un vantaggio competitivo significativo.
L’IA è destinata a cambiare il mondo, ma solo se avrà abbastanza energia per farlo. Ed è qui che si gioca la partita del futuro. Tutto il resto sono algoritmi. Brillanti, affascinanti, potentissimi. Ma senza elettricità, muti.
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