Nel primo semestre dell’anno sono cresciuti i prestiti erogati alle imprese agricole del Paese. Gli importi finanziati sono saliti del 30,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2024, più del doppio della media nazionale, ferma al 13 per cento. Lo rileva un’analisi dell’Osservatorio Crif, che mette sotto esame un settore cardine per l’economia italiana. Il settore infatti conta circa 670 mila attività. Il cuore del settore rimane saldamente incastonato nel Mezzogiorno, dove si concentra il 46,1 per cento delle imprese.
La crescita del credito è stata favorita da un quadro normativo che ha facilitato l’accesso a strumenti di finanza agevolata, soprattutto per l’ammodernamento delle strutture, l’introduzione di nuove tecnologie e la transizione verso pratiche più sostenibili. Le società di capitali hanno fatto segnare gli aumenti più consistenti, con una crescita del 40,8 per cento degli importi erogati, mentre ditte individuali e società di persone si sono fermate a +26,5 per cento. Sul piano geografico spiccano ancora una volta Sud e Isole, dove l’aumento del credito erogato ha toccato il 40,6 per cento, mentre nel Nord-Est l’incremento del 29,7 per cento è rimasto sotto la media del settore. Sicilia e Campania guidano la classifica regionale con crescite del 44,3 per cento e del 38,7 per cento.
La rischiosità del comparto resta più bassa rispetto alla media nazionale. A giugno 2025 il tasso di default delle imprese agricole si è attestato al 2,2 per cento contro il 3 per cento degli altri settori. Le cooperative agricole fanno ancora meglio, con un tasso dell’1,8 per cento. Per quanto riguarda i singoli settori, l’allevamento presenta invece un tasso di default leggermente più elevato, pari al 2,4 per cento, complice l’esposizione a fattori esterni come rischi sanitari, volatilità dei costi dei mangimi e cambiamenti nelle abitudini alimentari.
Difficoltà nei pagamenti puntuali
Sul fronte dei pagamenti commerciali, l’agricoltura mostra una puntualità inferiore alla media nazionale. Solo il 34,1 per cento delle imprese paga alla scadenza, contro il 43,6 per cento del totale delle aziende italiane. I ritardi brevi sono più frequenti, così come quelli oltre i 90 giorni, che nel comparto arrivano al 4,8 per cento. Anche in questo caso le differenze territoriali sono marcate: nel Nord-Est la puntualità raggiunge il 44,1 per cento, mentre nel Sud e nelle Isole crolla al 27 per cento, con una quota di ritardi lunghi pari al 7,3 per cento contro l’1,6 per cento del Nord-Est. Il trend trimestrale mostra comunque un lento miglioramento: dal 2023 la puntualità è aumentata di tre punti, mentre i ritardi più lunghi sono scesi di quasi un punto percentuale.
L’analisi del turnover conferma un comparto in fase di contrazione. Tra il 2022 e il 2024 le nuove aperture sono diminuite, scendendo da 21.897 a 19.286, mentre nel primo semestre del 2025 si sono fermate a 10.827. Le cessazioni continuano invece a crescere, arrivando a 24.677 nel 2024 e a 15.394 solo nei primi sei mesi del 2025. Le imprese più giovani restano le più fragili: il 35 per cento delle chiusure riguarda attività con meno di cinque anni, una quota che si riduce progressivamente con l’aumentare dell’anzianità aziendale, fino al 13% per quelle con oltre trent’anni di vita.
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