L’oro? «Un relitto barbarico», lo ha definito John Maynard Keynes nel 1924. Ma anche se si riferiva esclusivamente al gold standard – cioè al vincolo di convertibilità della moneta in oro – probabilmente il più grande economista del ’900 non avrebbe immaginato che, un secolo dopo, il metallo giallo avrebbe vissuto la sua ennesima giovinezza. Così, in questo 2025, nella nuova era di criptovalute e stablecoin, il vecchio oro ha toccato il record assoluto di valore, arrivando a quota 118 euro al grammo rispetto a meno di 10 con i quali aveva chiuso il secolo scorso. E il metallo quello vero, quello fisico, è tornato prepotentemente al centro dell’attenzione dei governi mondiali, con le Banche centrali impegnate in una sorta di nuova corsa a all’oro.
Così oggi si calcola che siano almeno 103 (quindi la metà delle 205 nazioni esistenti a mondo) gli Stati che custodiscono riserve di oro fisico, per un totale complessivo di circa 36mila tonnellate detenute dalle Banche centrali: siamo a un soffio dal record assoluto delle 38mila tonnellate fotografate al termine del gold standard (1971) e a un quinto del totale dell’oro estratto nella storia dell’umanità. La classifica mondiale vede in testa gli Stati Uniti con 8.133 tonnellate, seguiti dalla Germania con 3.350 e l’Italia ottima terza, con 2.452 tonnellate. Francia, Russia, Cina, Svizzera, India, Giappone e Turchia completano, in questo ordine, la top ten.
Una geografia aurea che rivela equilibri di potere e scelte strategiche radicate nei secoli. Non a caso gli Stati Uniti sono i primi della lista, con le loro 8.133 tonnellate, pari a quasi mille miliardi di euro di valore, in gran parte a Fort Knox (in Kentucky, 4.580 tonnellate), e il resto nelle zecche federali di Denver (Colorado) e West Point (Stato di New York). Fort Knox è diventato leggendario non solo per la quantità di oro custodito, ma anche per il mistero che, nel tempo, è cresciuto intorno a questa località. Si dice che Franklin D. Roosevelt fu l’unico presidente americano a metterci piede, nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale. E che dopo di lui solo nel 1974 un ristretto gruppo di giornalisti e membri del Congresso ha potuto accedere al bunker. Una inaccessibilità che ha alimentato teorie complottiste di ogni tipo. Al punto che lo scorso aprile, in carica da poco da poco, Donald Trump ha annunciato una visita di “controllo”. Di cui, al momento, non si è più saputo nulla.
Per le sue 3.350 tonnellate la Germania ha modificato nel tempo la propria strategia. Oggi la Bundesbank ne custodisce la metà (1.710 tonnellate) a Francoforte, 1.236 (37%) alla Fed di New York e le restanti 432 tonnellate (13%) alla Bank of England di Londra. Una distribuzione frutto del rimpatrio avvenuto nel 2017, quando Berlino ha deciso di riportare a casa 374 tonnellate dalla Francia e 300 tonnellate dagli Usa. Fedele al proprio estremo nazionalismo, la Francia custodisce tutte le sue 2.437 tonnellate a Parigi, negli 11mila metri quadri dei leggendari caveau de “La Souterraine”, situati 27 metri sotto il livello stradale, sotto l’Hôtel de Toulouse, sede della Banque de France. Più difficile avere notizie sugli altri Re Mida del mondo.
Russia e Cina mantengono il massimo riserbo sulla localizzazione dei loro depositi, mentre le quantità dichiarate sono considerate attendibili. La Banca di Russia conserva due terzi delle sue 2.330 tonnellate a Mosca, in un edificio bancario non meglio specificato, e un terzo a San Pietroburgo. Mentre Pechino gestisce le sue 2.304 tonnellate attraverso la People’s Bank of China e gli analisti ritengono che la totalità dell’oro sia conservata in patria. La Cina è comunque tra le nazioni più attive nell’acquisto e quindi nella crescita delle riserve auree e potrebbe presto scalare posti in classifica. Così come la Turchia, oggi decima e impegnata nell’accumulare oro anche per contrastare la debolezza della propria valuta.
La Svizzera, paradiso tradizionale dell’oro privato, conserva circa il 70% delle sue 1.040 tonnellate presso la Banca Nazionale a Berna, in grandi casseforti che si ritiene siano sotto la Piazza Federale, anche se la posizione esatta è segreto di Stato. Il restante 30% è distribuito tra la Bank of England (20%) e la Bank of Canada (10%), una scelta dettata da ragioni di sicurezza e diversificazione geografica. E noi?

L’Italia, con le sue 2.452 tonnellate, rappresenta il terzo maggior detentore di oro al mondo e un caso particolarmente interessante per la distribuzione geografica delle riserve. Il 44,86% dell’oro italiano (1.100 tonnellate) è custodito a Roma nel caveau dei sotterranei di Via Nazionale, sede della Banca d’Italia, soprannominati da sempre le “sacristie”. Questo deposito contiene lingotti di vario peso, dai 4,2 ai 19,7 chilogrammi, e circa 4 tonnellate in monete d’oro: precisamente 871.713 pezzi tra sterline britanniche, Krugerrand sudafricani e marenghi italiani. Ma la parte più consistente delle riserve italiane dopo quella di Roma si trova oltreoceano: 1.061,5 tonnellate (43,29% del totale) sono custodite negli Usa, in un caveau di New York: un edificio antiatomico scavato 25 metri sotto terra e protetto da un cilindro d’acciaio da novanta tonnellate. È un deposito su cui la Fed agisce come custode e ogni barra resta in compartimenti separati, non fungibili e sotto il controllo congiunto di personale di sicurezza e revisori interni. Le restanti riserve sono distribuite tra Svizzera (149 tonnellate, 6,09%) e Regno Unito (141 tonnellate, 5,76%).

Questa frammentazione geografica risale al secondo dopoguerra, quando l’Italia – ricostruendo la propria economia sotto l’ombrello della protezione americana e recuperando anche parte delle 120 tonnellate di oro che i tedeschi sottrassero dalle sacristie pochi giorni dopo l’8 settembre dal 1943 – collocò gran parte delle sue riserve strategiche negli Stati Uniti. Da allora l’Italia ha costantemente aumentato le proprie riserve di oro. E se è vero che l’Italia non acquista più oro dal 2001, è altrettanto accertato che non ne ha mai venduto neanche un grammo, a differenza di molti altri Paesi europei che, a seconda delle fasi di mercato, hanno liquidato parte delle loro riserve.
Che tanto oro europeo sia custodito negli Usa deriva dalla guerra fredda, quando molti Paesi europei scelsero di collocare le loro riserve oltreoceano per proteggerle dal comunismo. Inoltre, durante il sistema di Bretton Woods cessato nel 1971, quando il dollaro era convertibile in oro, aveva senso tenere le riserve vicino al punto di conversione. Oggi la storia è completamente diversa e le ipotesi di rimpatriare l’oro avanzano con sempre maggiore frequenza. Anche perché il metallo più adorato dal genere umano è tornato più che mai alla ribalta: sono ormai diversi anni che gli acquisti annuali superano le 1.000 tonnellate, con Paesi particolarmente attivi, come per esempio la Polonia.
L’oro offre protezione contro l’inflazione, permette di diversificare le riserve in dollari ed è un asset senza rischio di controparte. Inoltre garantisce ancora prestigio e buona reputazione finanziaria. E paradossalmente, davanti al boom delle criptovalute, rappresenta un’ancora granitica di certezze. Di cui l’uomo ha sempre avuto bisogno.
Insomma, come dicono i trader più sgamati di tutto il mondo, è l’unica bolla che non scoppierà mai.
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