L’incognita dazi continua a gravare sulle imprese esportatrici italiane. In un focus dedicato, l’Istat ha messo in luce un sistema produttivo in cui vulnerabilità e fragilità economico-finanziaria spesso si sommano, amplificando i rischi in caso di choc esterni, come quelli provocati per l’appunto dall’applicazione di tariffe commerciali usate come arma politica.
Secondo i dati riferiti al 2022, sono poco più di 23 mila le imprese italiane vulnerabili alla domanda estera. Tra queste, quasi 3.300 risultano esposte in modo particolare alla domanda proveniente dagli Stati Uniti. La vera criticità, però, emerge dall’analisi incrociata di tre indicatori chiave: liquidità, redditività e struttura patrimoniale. Da questa valutazione, il 10,8% delle imprese vulnerabili è considerato a rischio, mentre un ulteriore 9,2% è classificato come fortemente a rischio. In pratica, una su cinque versa in condizioni potenzialmente critiche.
“Tra le imprese esportatrici, quelle più vulnerabili alla domanda estera si caratterizzano anche per maggiori problemi di redditività, e quindi per una più elevata precarietà nel grado di solidità economico-finanziaria. Rispetto a possibili choc (come l’imposizione di dazi), la combinazione di una vulnerabilità all’export e di una fragilità nelle condizioni di redditività potrebbe pertanto rappresentare un ulteriore fattore specifico di criticità“, si legge nella nota dell’Istat sull’andamento dell’economia italiana.
Le imprese più esposte alla domanda estera – evidenzia ancora il report dell’Istat – tendono anche ad avere problemi strutturali nella gestione economico-finanziaria. Una combinazione pericolosa, che rende questo segmento particolarmente sensibile a eventuali turbolenze di natura esogena. Proprio per questo, proseguono gli sforzi della politica per evitare una scriteriata guerra dei dazi destinata a provocare danni e a scatenare una escalation a perdere. Mercoledì prossimo, 14 maggio, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, terrà un’informativa alla Camera proprio sulle conseguenze sul sistema produttivo italiano dell’introduzione dei dazi nei confronti dei Paesi europei e sulle iniziative di competenza a tutela delle imprese e dell’occupazione.
“Bisogna continuare a discutere con gli americani, per capire quali sono le loro richieste. Io credo che giustamente loro parlino di una bilancia commerciale che è a favore dell’Europa e non degli Stati Uniti, ed è a favore dell’Italia anche in alcuni casi. Si può anche investire di più negli Stati Uniti, noi siamo un paese a vocazione industriale, 4 milioni di piccole e medie di imprese, siamo la seconda manifattura europea, siamo la quinta potenza commerciale mondiale, internazionalizzare le nostre imprese è parte del nostro Dna, quindi andare a investire di più negli Stati Uniti è parte di una strategia italiana per la crescita. Si può anche comprare, visto che dobbiamo farlo, anche più gas dagli Stati Uniti“, ha affermato su SkyTg24 il vice premier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
Il report Istat ha inoltre sottolineato la vulnerabilità verso il mercato statunitense. Le quasi 3.300 imprese italiane esposte alla domanda Usa sono al centro dell’attenzione, in un contesto internazionale segnato da crescenti tensioni protezionistiche. Eventuali interventi tariffari da parte di Washington rischierebbero di aggravare ulteriormente la posizione di chi già opera in condizioni di equilibrio precario.
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