Cambio di rotta nel panorama del reddito fisso per andare a caccia di rendimenti. Dopo l’ultimo taglio dei tassi da parte della Banca centrale europea, l’ottavo da un anno a questa parte, i rendimenti dei titoli di Stato dell’Eurozona iniziano a mostrare il fiato corto. E chi è alla ricerca di ritorni più generosi, ma vuole tenersi lontano dai Treasury Usa per evitare il rischio di un dollaro debole, guarda altrove. I mercati emergenti, come Brasile, Turchia, Indonesia, ma anche Vietnam e Argentina, offrono titoli di Stato ad alto rendimento, per chi è disposto ad accettare un rischio più elevato. Il loro rating, cioè il giudizio espresso dalle agenzie internazionali, infatti, è spesso inferiore alla soglia dell’investment grade (cioè al di sotto di BBB- per S&P o Baa3 per Moody’s), riflettendo una solidità finanziaria ancora in evoluzione e una probabilità di insolvenza maggiore rispetto alle economie sviluppate.
Eppure, chi è disposto ad affrontare una dose extra di rischio viene ricompensato con cedole decisamente più corpose. «Un portafoglio ben diversificato e focalizzato sui mercati emergenti offre oggi un rendimento superiore all’8%», afferma la casa di investimento belga Dpam. E alcuni Etf, come l’iShares JP Morgan Emerging Markets Local Government Bond, segnano guadagni vicini al 9% da inizio anno. In particolare, le obbligazioni emesse in valuta locale si stanno rivelando una carta vincente, beneficiando della debolezza del dollaro e del rallentamento dell’inflazione. Non a caso, il rendimento dei bond governativi brasiliani denominati in real viaggia intorno al 14%.
Anche le banche centrali di questi paesi stanno programmando un taglio dei tassi, in vista di un calo dell’andamento dei prezzi. Ecco perché per molti gestori, è il momento giusto per ripensare le strategie e dare più spazio ai titoli dei mercati emergenti in ottica di diversificazione.
Rendimenti e prospettive
I Paesi emergenti rappresentano oggi circa la metà dell’economia globale, ma costituiscono una piccola percentuale nei portafogli obbligazionari degli investitori. Eppure, vantano ritorni maggiori e prospettive interessanti nel medio e lungo termine: crescita demografica, miglioramento delle istituzioni e politiche economiche che stanno diventando più solide. Tra il 2025 e il 2030, il 95% dell’espansione della classe media globale sarà concentrata proprio in queste aree, guidando consumi, investimenti e domanda interna. Una tendenza che riguarderà, in particolare, oltre a Cina e India, anche Indonesia, Malesia, Filippine, Egitto, Nigeria e Stati dell’America centrale e meridionale. «Questa asset class – sottolinea Pictet Asset Management – ha assistito a un miglioramento strutturale della sua governance, dando così agli investitori ulteriori motivi di ottimismo». Senza contare che, ad eccezione del Brasile, il rapporto debito/Pil si aggira intorno al 50% contro livelli superiori al 100% della maggior parte delle grandi economie.
Quali paesi tenere d’occhio
Non tutti i mercati emergenti però sono uguali. Il calo del prezzo del petrolio, per esempio, avvantaggia i Paesi importatori di greggio, mentre la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti apre spazi a chi saprà conquistare quote di mercato a scapito dei produttori americani. Tra le economie più promettenti, secondo Dpam, c’è il Brasile: tassi in salita e una politica fiscale relativamente responsabile lo rendono un mercato da monitorare, pur con le dovute cautele sul fronte politico in vista delle elezioni del 2026. Più prudenza invece sul Messico, dove l’incertezza politica, le tensioni con gli Stati Uniti e le riforme istituzionali (come quella giudiziaria) preoccupano gli investitori.
Sì alla valuta locale
Uno dei temi centrali per chi guarda a questi bond è la valuta. Acquistare titoli in divisa locale appare l’opzione migliore, in quanto consente non solo di incassare cedole elevate, ma anche di beneficiare degli apprezzamenti della valuta stessa. Da inizio anno, infatti, il movimento è stato a loro favore. E, in un contesto di indebolimento del dollaro e con le banche centrali occidentali orientate a ulteriori tagli dei tassi, le valute emergenti potrebbero guadagnare ulteriore terreno. «Pensiamo che le maggiori opportunità possano essere scovate nel debito in valuta locale di un panel selezionato di paesi, come il real brasiliano, il peso messicano, il peso colombiano, il rand sudafricano. I tassi nominali non in dollari o in euro, ma quelli in valuta, sono nettamente più alti di quelli dei paesi sviluppati», precisa Alberto Foà, presidente di AComeA Sgr. In Europa e negli Stati Uniti i tassi reali si aggirano tra 1,5 e 3%. In Brasile, Colombia, Messico e Sudafrica superano il 5%, arrivando fino al 7% nel caso del Brasile. È questo differenziale che rende attraenti i titoli di Stato locali in paesi emergenti.
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