Fiammata del petrolio in scia all’attacco di Israele all’Iran. Le quotazioni del greggio sui mercati internazionali hanno mostrato rialzi superiori al 10% subito dopo la notizia dell’operazione “Rising Lion” di Tel Aviv, che ha colpito una serie di obiettivi strategici in territorio iraniano, prima di ridimensionarsi intorno a un +8% a quota 74-75 dollari al barile. In forte rialzo anche il prezzo del gas naturale con un +4%. In un contesto di crescenti tensioni geopolitiche, è tornato a salire con prepotenza anche l’oro, considerato il bene rifugio per eccellenza, che segna nuovi massimi degli ultimi due mesi sopra i 3.400 dollari l’oncia.
Cosa temono i mercati
Il rapido deterioramento della situazione tra Israele e Iran sta alimentando sui mercati finanziari internazionali il timore di un allargamento del conflitto su vasta scala in Medio Oriente, con ripercussioni immediate sia sul fronte energetico che su quello geopolitico. Il timore principale, infatti, è che l’escalation possa estendersi ben oltre i confini dei due paesi, coinvolgendo attori regionali e globali, oppure innescando azioni di sabotaggio o rappresaglia su infrastrutture economiche critiche.
“Tra gli obiettivi potenzialmente a rischio – avverte Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia – ci sono le infrastrutture petrolifere e del gas naturale: basti pensare agli impianti strategici di South Pars (il più grande giacimento di gas naturale al mondo), le raffinerie di Abadan e Isfahan, oppure i terminal per l’esportazione di greggio situati a Jas e nell’isola di Karg, veri e propri snodi vitali per le esportazioni energetiche iraniane”.
Un attacco a uno di questi siti, o anche solo la minaccia concreta, potrebbe causare gravi interruzioni dell’offerta globale di petrolio e gas, con conseguente impennata dei prezzi. Le compagnie energetiche globali stanno rivalutando i rischi operativi nella regione, e molte rotte commerciali vengono ridisegnate per evitare l’area del Golfo. “Un conflitto nel Golfo potrebbe interrompere il traffico attraverso una delle principali rotte di navigazione del mondo e interrompere le forniture da una regione responsabile di circa un quarto della produzione globale”, sottolinea Ricardo Evangelista, senior analyst di ActivTrades.
Non solo. Il possibile coinvolgimento diretto di altri paesi della regione, come il Libano, la Siria, l’Iraq, o persino attori del Golfo come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti o altri attori ancora più potenti come gli Stati Uniti (alleato di Israele) e la Russia (alleato dell’Iran) potrebbe mettere a rischio punti strategici importanti come il porto commerciale di Bandar Abbas, che rappresenta uno dei più importanti punti di snodo per l’import-export iraniano e per la navigazione nello Stretto di Hormuz, da cui transita circa un quinto del petrolio mondiale trasportato via mare. “Qualsiasi blocco o attacco in quest’area – aggiunge Diodovich – causerebbe turbative gravi al commercio marittimo globale e ulteriori rincari nei costi di trasporto e delle materie prime”.
Gli asset da tenere sott’occhio
Le prossime ore e giorni saranno cruciali, perché ogni segnale di de-escalation potrebbe calmare gli investitori, ma un ulteriore deterioramento rischia di alimentare uno shock energetico e finanziario globale. “Da monitorare – segnala Diodovich – i seguenti asset: petrolio, gas naturale, oro, settore energetico e della difesa, valute rifugio (dollaro, franco svizzero e yen).
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