Prima metà dell’anno decisamente avara di soddisfazioni in Borsa per piccoli e grandi player del settore biotech. Il comparto, intrinsecamente volatile per la forte dipendenza dai risultati degli studi clinici, quest’anno ha visto aggiungersi degli elementi di preoccupazione legati ai tagli al budget della Food and Drug Administration (Fda) deciso dall’amministrazione Trump. Da inizio anno l’indice Msci World Biotechnology segna un calo vicino al 10% e i venti avversi sono confermati dalla gelata del numero di Ipo: solo cinque rispetto ai già risicati 18 debutti di tutto il 2024. Appare ormai un lontano ricordo la frenesia pandemica con 150 Ipo nel biennio 2020-2021. Tante realtà hanno cavalcato la sbornia di Ipo post Covid senza essere pronte per il grande passo e, stando ai dati Bloomberg, mostrano in media una perdita di valore di oltre il 40%.
L’attuale basso appeal del settore delle biotecnologie si traduce in multipli a sconto del 25% rispetto all’indice S&P 500, uno degli sconti più elevati degli ultimi anni. «Quasi il 20% delle società biotecnologiche è scambiato al di sotto del valore aziendale o del livello di liquidità iscritto in bilancio», rimarca Daniel Lyons, portfolio manager di Janus Henderson, che ritiene ingiustificato lo sconto a cui viaggiano le società biotecnologiche innovative, che rispondono a esigenze mediche che in molti casi non trovano copertura.
Al di fuori della Borsa il settore si mostra in forma con numeri in rapida crescita e le grandi case farmaceutiche e venture capital pronte a mettere le mani sulle realtà più interessanti attraverso l’M&A. Il giro d’affari globale delle biotecnologie è atteso lievitare a oltre 5mila miliardi di dollari entro il 2034 dai 1.550 miliardi del 2024 (stime di Precedence Research), con una crescita media annua del 12,5%. A fare da traino sono le innovazioni in medicina personalizzata, intelligenza artificiale e biopharma, con investimenti in R&S che già adesso superano i 200 miliardi l’anno.
Se gli Stati Uniti rimangono leader incontrastati e Cina segue a ruota, l’Europa sta lavorando per recuperare posizioni con l’European Biotech Act atteso per il 2026. L’Italia non intende rimanere indietro e per farlo l’ingrediente principe è l’innovazione. «Non basta puntare solo sulla tecnologia – taglia corto Fabrizio Greco, presidente di Assobiotec – serve un ecosistema nazionale forte, in cui formazione, ricerca, sviluppo, produzione e accesso al mercato operino in modo sinergico. Perché l’innovazione biotech è una sfida collettiva e la sua riuscita è un’opportunità per l’intero Paese».
L’ultima istantanea sul settore è stata scattata dall’associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica ed evidenzia che il giro d’affari in Italia di oltre 47,5 miliardi di euro a fine 2023, pari al 2,23% del Pil e 4.888 imprese attive. Spicca la prevalenza di microimprese (54%). Il biotech italiano è ‘giovane’ rispetto ad altri ecosistemi europei. «L’Italia vanta una ricerca accademica di altissimo livello, spesso sottovalutata in termini di trasferimento tecnologico. Il nostro lavoro come fondo è proprio quello di colmare questo gap: trasformare scienza di eccellenza in imprese innovative», spiega a Moneta Ciro Spedaliere, managing partner di Claris Ventures, che ha avviato da poco il Claris Biotech II, fondo dedicato a investimenti early-stage in startup biotech nate dal network della ricerca italiana.
Il target di raccolta è di 100 milioni e tra gli investitori istituzionali figurano Cdp Venture Capital e il Fondo Europeo per gli Investimenti (Fei, gruppo Bei). Col primo fondo Claris Biotech I hanno trovato sostegno realtà tricolori che ora si distinguono a livello internazionale come NeoPhore, società attiva nell’immuno-oncologia in cui ha investito Bristol Myers Squibb, oppure Resalis Therapeutics, attiva nel trattamento dell’obesità e che ha attirato l’interesse di Sanofi.
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