L’esempio americano è proprio lì davanti agli occhi. Bank Of America, una delle più grandi banche al mondo, ha fatto il salto di qualità nel 2008 con l’acquisizione di Merrill Lynch, potenziando enormemente il suo investment banking. Questo è quello che vuole fare il numero uno di Mps, Luigi Lovaglio, nella sua scalata a Mediobanca. L’idea, del resto, è quella di creare un grande istituto integrato: con banca commerciale, credito al consumo, Investment banking e una forte rete di gestione patrimoniale.
La stessa Jp Morgan ha colto l’occasione della crisi del 2008 per crescere con Bear Stearns e Washington Mutual in una poltica di acquisizioni che l’ha portata a essere la banca americana numero uno. Negli stessi anni, la principale banca d’investimenti italiana non ha saputo svilupparsi con il medesimo piglio, finendo per accontentarsi di una crescita solida ma priva delle grandi ambizioni che dovrebbero essere connaturate a un istituto di prestigio come Mediobanca. Piazzetta Cuccia ancora oggi è abbarbicata per il 40% dei suoi utili alla quota detenuta in Generali.
Lovaglio vuole creare un terzo polo bancario, dietro a Intesa Sanpaolo e Unicredit. Un progetto che ha una sua visione, se non altro perché l’Europa ha bisogno di grandi istituti integrati. È una delle (tante) cose che mancano al Vecchio Continente per misurarsi con gli altri grandi blocchi: Stati Uniti e Cina. Non c’è nulla di strano, quindi, che una banca più piccola come Mps (che in Borsa capitalizza 9 miliardi) ne voglia acquistare una più grande come Mediobanca (che complessivamente vale 15,7 miliardi). Del resto quello che conta è il progetto da proporre agli azionisti e quello che emerge, nonostante quello che crede l’ad di Piazzetta Cuccia Alberto Nagel, è un’idea di banca che diventerebbe molto più simile alle prime della classe a livello mondiale.
Ma, senza cercare paragoni d’oltre Oceano, i più grandi e fortunati conglomerati finanziari europei hanno una filiera completa e una conformazione che sarebbe molto simile a quella che avrebbero Mps e Mediobanca insieme. È così per la spagnola Banco Santander (109 miliardi di valore in Borsa), la big italiana Intesa Sanpaolo (intorno ai 90 miliardi) e la francese Bnp Paribas (86 miliardi).
Sta ricostruendo ogni tassello perduto anche l’Unicredit di Andrea Orcel (che non a caso tra i suoi sogni culla il desiderio di realizzare una Jp Morgan europea) che ha raggiunto 95 miliardi di valore borsistico, anche se in parte il dato è drogato dall’effetto risiko con l’Offerta pubblica di scambio in corso su Banco Bpm e la conversione di parte dei derivati su Commerzbank che l’ha fatta salire al 20% del secondo istituto tedesco.
Tornando, però, alle nozze tra Mps e Mediobanca (a proposito, il periodo di adesione all’Ops partirà il 14 luglio e si concluderà l’8 settembre) a sfidarsi sono due progetti, uno trasformativo in senso moderno e l’altro più conservativo. Da una parte, infatti, Lovaglio vuole distribuire i ricavi in modo più stabile e meno legato al margine d’interesse (ed è anche una decisione oculata in un periodo di abbassamento dei tassi d’interesse da parte della Banca centrale europea) per assicurare un futuro solido all’istituto da lui risanato negli ultimi anni. Il gruppo può diventare lo sposo perfetto per Bpm, se non dovesse andare a segno l’assalto di Orcel.
A completare il menu ci sarebbero sinergie per 400 milioni, crediti fiscali (DTA) per 1,2 miliardi e un ecosistema di brand che continuerebbero a esistere e ad alimentarsi a vicenda con nuove occasioni di business, oltre a una rete di consulenti finanziari importante da oltre 1.800 effettivi e destinata a crescere. Ma più che generare tanti soldi subito, sarebbe il volano di business successivo a rendere interessanti le nozze. Dall’altra parte, invece, c’è un Nagel che, da manager navigato della finanza, sa come stuzzicare l’appetito alla truppa dei fondi che vogliono stabilità (che poi molte volte vuol dire non cambiare mai nulla) e ha puntato gran parte della sua strategia sulle promesse di dividendi stellari da 4,5 miliardi al 2028. Sembra destinata a finire sul binario morto, invece, l’alternativa industriale di scambiare il 13% circa di Mediobanca in Generali con la quota di controllo di Banca Generali, andando a recidere un cordone ombelicale storico con la più grande compagnia assicurativa italiana. Nagel, a corto di numeri, ha ritenuto di rinviare tutto al 25 settembre: a quel punto, però, Lovaglio potrebbe essere già entrato dal portone principale di Piazzetta Cuccia e questo, con un’alta probabilità, significherebbe uno stop all’operazione. In definitiva, lo scontro frontale che inizierà lunedì vede affrontarsi novità e conservazione.
Mps punta al 50% più un’azione ma spera di raggiungere il 66,67% del capitale di Mediobanca, perché così avrebbe un saldo controllo dell’assemblea. La sensazione è che possa farcela, ora che anche la Mediolanum di Massimo Doris ha abbandonato il patto di consultazione. A meno che non piombi sulla contesa qualcosa di inatteso.
© Riproduzione riservata