E’ sempre il tempo delle mele sulle tavole e non solo su quelle italiane. Mai così tante varietà di mele sono presenti sul mercato, distinte per colori, dimensioni, croccantezza, sapore e tempi di maturazione, per offrire ai consumatori la più ampia possibilità di scelta del prodotto simbolo del “peccato“. Il frutto più antico al mondo si rifà il trucco, con la ricerca e il marketing, per conquistare nuovi consumatori, forte delle proprietà salutistiche che da sempre lo caratterizzano. Il risultato è la conferma della mela quale frutto preferito dagli italiani con una quota di acquisti pari a oltre il 20% del totale della frutta fresca e una presenza sulle tavole di più di otto famiglie su dieci (indice di penetrazione dell’83%), secondo l’ultimo studio di Cso Italy.
Negli ultimi dieci anni la quota dell’offerta di nuove varietà di mele è passata dal 3 al 14% della produzione totale e da un volume di 70mila a 300mila tonnellate con l’arrivo di nuovi gusti: mele croccanti e succose ma anche aromatiche o dal sapore esotico, che sono il risultato dell’innovazione realizzata con l’attività di miglioramento genetico “naturale” e che hanno conquistato spazio sullo scaffale. Resistono però ancora le varietà più tradizionali come le Golden, che si distinguono per la buccia dorata e la polpa succosa e dolce: con il 31% detengono saldamente il primato davanti alle Gala, dalla buccia di porpora leggermente striata di verde o giallo, che mettono a segno un buon 18%.
Così come continuano a tenere banco le varietà antiche e locali (spesso più piccole e meno belle ma molto gustose), che trovano nei mercati contadini di Campagna Amica una importante opportunità di sbocco in grado di remunerare adeguatamente i produttori, i quali possono così continuare a raccoglierle, sostenendo la biodiversità dei territori. In questo contesto si inseriscono anche le 5 mele Dop e Igp italiane (Mela Val di Non Dop, Mela Alto Adige Igp, Mela di Valtellina Igp, Mela Rossa Cuneo Igp, Malannurca Campana Igp), strettamente legate ai rispettivi territori di produzione.
La tradizione si sposa perfettamente con l’innovazione. A cambiare non è solo la varietà di prodotto offerto ma anche la modalità di presentazione con un notevole balzo messo a segno dalle vendite di mele confezionate: nel 2016 le mele sfuse rappresentavano oltre l’80% del totale dell’offerta sullo scaffale, nel 2024 sono scese al 57% per effetto dell’aumento al 43% del prodotto confezionato. Un cambiamento che consente una migliore identificazione del prodotto, che spesso è accompagnato da un bollino distintivo per rendere più efficaci le campagne promozionali che sostengono l’arrivo delle novità sul mercato.
Novità ci sono poi sul piano organizzativo con l’esplosione delle mele a marchio e a commercializzazione centralizzata, le cosiddette “mele club”, che hanno un titolare che detiene i diritti di proprietà sulla varietà vegetale e che le tutela controllando che il processo di produzione e vendita rispetti le indicazioni di un disciplinare ad hoc. La prima a essere introdotta in Italia è stata la Pink Lady ma poi sono arrivate Crimson Snow, Ambrosia, Kanzi, Envy e molte altre, che hanno incontrato i gusti dei consumatori e sono state sostenute da innovative strategie di marketing.
Nuovi rapporti di filiera presentano rischi e opportunità per gli agricoltori ai quali, di fronte alle limitazioni della libertà imprenditoriale, deve essere garantita una giusta remunerazione. L’ampia gamma offerta, il rinnovamento sul piano commerciale, ma anche la qualificazione della produzione, che per ben l’8% in Italia è biologica, spingono i consumi.
Secondo i dati Nielsen IQ nel 2024 i volumi di vendita nella grande distribuzione organizzata sono stati pari a 5.570 tonnellate, con un fatturato per le mele bio salito da 15,8 milioni di euro nel 2023 a più di 16 milioni nel 2024. Cresce la domanda anche sui mercati internazionali, dove nel 2024 sono state spedite 946mila tonnellate di mele ed è stata superata per la prima volta la cifra record di un miliardo di euro (1,033 miliardi per la precisione) con un incremento del 13% rispetto all’anno precedente. Un trend positivo che è continuato nel primo trimestre del 2025 con un balzo del 18% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Tra i principali clienti c’è la Germania che ne acquista quasi 1/3 in valore ma sono poco meno di 90 le destinazioni in cui arriva la mela italiana. Il 42% del quantitativo esportato è destinato ai mercati extra-Ue con rilevanti vendite registrate in questi ultimi anni in Brasile, Paesi Arabi e India. Azzerato invece l’export in Russia a seguito dell’embargo deciso dal presidente Vladimir Putin con decreto n. 778 del 7 agosto 2014 e più volte rinnovato come ritorsione alla decisione dell’Unione Europea di applicare sanzioni alla Russia per la guerra in Ucraina. Un blocco che ha colpito anche frutta e verdura italiana a partire dalle mele, soprattutto della varietà Granny Smit, dal colore verde intenso e sapore leggermente acidulo particolarmente apprezzate dai cittadini russi.
La domanda sostenuta ha consentito comunque di mantenere pressoché stabili le superfici coltivate a mele in Italia negli ultimi 10 anni, con 54.072 ettari registrati per il 2024, concentrati soprattutto al Nord in Trentino Alto Adige, Piemonte e Veneto ma un forte presidio produttivo è presente nel Mezzogiorno. La produzione nella campagna 2024-25 ha raggiunto 2 milioni 351 mila tonnellate, segnando un +8% su quella precedente, il livello più alto dal 2015-16 che classifica l’Italia al secondo posto, dopo la Polonia, tra i Paesi produttori europei. La Cina è di gran lunga il leader mondiale. Per il nostro Paese si tratta di un investimento importante tanto che, insieme ai vigneti, le piantagioni di mele sono quelle che raggiungono i più elevati valori dei terreni che arrivano a cifre record variabili tra 450mila a 750mila euro all’ ettaro nella Val Venosta (Bolzano) secondo degli ultimi dati dell’Istituto Crea.
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