Tempi bui per il lusso globale, che accusa il colpo di una classe media impoverita e di una situazione geopolitica ogni giorno più incerta. I ricavi delle grandi maison europee non crescono più a doppia cifra, calano le vendite in Asia e negli Stati Uniti e si assottiglia sempre di più la platea di consumatori di fascia media. A parlare per i brand sono i dati diffusi dai colossi LVMH, Kering e Burberry.
LVMH
LVMH, primo gruppo al mondo per fatturato nel settore, ha registrato nel secondo trimestre 2025 un calo del 4% a cambi costanti, peggiore delle attese. La società è la casa madre di marchi del calibro di Louis Vuitton, Dior, Fendi, Céline, Givenchy, Loewe, Marc Jacobs, Kenzo, Berluti, Loro Piana e molti altri.
La divisione più redditizia, Fashion & Leather Goods, ha perso il 9% in termini organici, mentre l’utile operativo è sceso del 18%. A questo si somma la forte contrazione della domanda in Giappone, dove le vendite sono crollate del 28% nel trimestre, penalizzate dal rafforzamento del dollaro e dalla debolezza dello yen.
Le azioni LVMH hanno perso oltre il 40% rispetto ai massimi del 2021 e il gruppo ha tagliato gli aumenti di prezzo al 3%, il livello più basso dal 2019. Una svolta prudente, spiegano gli analisti, che riflette un cambiamento nei comportamenti di spesa: la fascia alta resta solida, ma cala la domanda dei cosiddetti “aspirational buyers”, coloro che appartengono alla fascia di reddito alta, ma che ambiscono a possedere beni di lusso per ragioni di prestigio e status. Negli Usa e in Europa sono sempre meno.
Kering
La crisi è ancora più evidente per Kering, la holding francese che controlla Gucci, Bottega Veneta e Saint Laurent. Nel primo trimestre dell’anno i ricavi sono crollati del 14%, con Gucci in calo del 25%. Secondo il Financial Times, la casa fiorentina sta pagando l’effetto saturazione, dopo anni di crescita trainata da loghi e appeal su TikTok. La strategia di rilancio affidata al nuovo direttore creativo Sabato De Sarno non ha ancora prodotto risultati tangibili. Anche Saint Laurent è arretrata (-9%), mentre solo Bottega Veneta ha segnato un timido +4%.
Hermès
In controtendenza si muove Hermès, che nel primo trimestre ha registrato un incremento del 9% dei ricavi a cambi correnti. La sua forza sta nell’approccio artigianale e selettivo. Nessuna strizzata d’occhio alla classe media. Niente outlet, niente sconti, nessun e-commerce di terze parti. In Giappone le vendite sono aumentate del 17%, negli Stati Uniti dell’11%, mentre in Cina si sono stabilizzate dopo un periodo volatile. Secondo il Financial Times, Hermès continua a beneficiare della sua “scarcity strategy”, tecnica di posizionamento che consiste nel limitare volutamente la disponibilità di un prodotto per aumentare il valore, il desiderio e l’esclusività.
Burberry
Sul versante britannico, Burberry ha chiuso l’anno fiscale 2024-25 con ricavi in calo del 15% e un utile operativo crollato da 418 a 26 milioni di sterline. La società ha annunciato un piano di ristrutturazione drastico: taglio del 20% della forza lavoro globale, 1.700 persone e ritorno a un posizionamento più coerente con la tradizione del marchio. Nel primo trimestre del nuovo esercizio, le vendite retail sono scese del 6%, ma in stabilizzazione rispetto al trimestre precedente.
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