Un Paese che sa difendersi bene in tribunale, ma rischia di non riuscire più a riparare una tapparella rotta. Questa è (e lo sarà sempre di più) l’Italia attraverso la lente delle professionalità. In dieci anni, infatti, si sono persi quasi 400mila artigiani. Un declino verticale. Se nel 2014 erano circa 1,77 milioni, nel 2024 ne restano appena 1,37 milioni: un crollo del 22%, quasi un lavoratore su quattro ha gettato la spugna. E non si tratta di un rallentamento passeggero: solo nell’ultimo anno, la contrazione è stata del 5%, pari a 72mila artigiani in meno.
Tutte le regioni sono coinvolte, senza eccezioni. Le più colpite? Marche (-28%), Umbria e Abruzzo (-27%), Piemonte (-26%). Unico parziale argine: il Mezzogiorno, dove gli investimenti del PNRR hanno mitigato l’emorragia. A lanciare l’allarme è l’Ufficio studi della CGIA di Mestre, che ha elaborato i dati Inps e quelli relativi alle imprese artigiane attive forniti da Infocamere/Movimprese.
Trovare un artigiano sarà caccia al tesoro
Già oggi ottenere un intervento per una semplice perdita d’acqua o una tapparella guasta può richiedere giorni. Tra dieci anni, avverte la CGIA, potrebbe diventare quasi impossibile. Colpa dell’invecchiamento degli artigiani attuali e di un ricambio generazionale che non c’è.
I giovani si tengono lontani da questi mestieri, attratti più dalle aule universitarie che dai laboratori o dalle botteghe. Il risultato? Nel nostro Paese ci sono più avvocati che idraulici: circa 233mila contro 165mila. Un dato che fa riflettere, soprattutto quando serve una riparazione urgente. Ma anche di fronte al dato della disoccupazione giovanile che in Italia si aggira intorno al 20%.
I perché della crisi
Dietro al declino dell’artigianato non c’è solo la pressione economica. C’è anche una crisi culturale. Per decenni, il lavoro manuale è stato percepito come “di serie B”, relegato a chi non riusciva bene sui libri. La scuola ha contribuito a questa visione: chi eccelle viene indirizzato verso i licei; chi arranca, verso gli istituti tecnici o professionali. Così si è creato un sistema che disincentiva il talento artigiano e lo svaluta socialmente.
Oltre al ricambio mancato, pesano anche la feroce concorrenza esercitata nei decenni scorsi dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni in particolare dal commercio elettronico, il peso della burocrazia, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali hanno costretto molti artigiani ad alzare bandiera bianca.
Una parte della responsabilità, comunque, è ascrivibile anche ai consumatori che in questi ultimi tempi hanno cambiato radicalmente il modo di fare gli acquisti. L’artigianato su misura è stato sostituito dall’acquisto rapido e standardizzato. La scarpa fatta a mano, il mobile artigianale o l’abito su misura sono stati spazzati via dal catalogo online e dagli scaffali dei megastore. La cultura dell’usa e getta ha preso il sopravvento.
L’artigianato scompare anche perché scompare chi vive nei territori. Montagne, colline, piccoli borghi: sempre più italiani abbandonano le aree interne, con effetti devastanti sul tessuto economico locale. Le botteghe chiudono, i centri si svuotano, la qualità della vita si deteriora.
La proposta: un reddito per salvare le botteghe
Per la CGIA di Mestre serve un’azione concreta e urgente: istituire un “reddito di gestione delle attività artigiane e commerciali”, destinato a chi apre o mantiene una bottega nei centri fino a 10mila abitanti. Un incentivo pensato non come sussidio, ma come strumento di resistenza e rilancio, per evitare che la sparizione degli artigiani diventi un dato di fatto.
Perché senza artigiani non c’è e non ci sarà più manutenzione, né qualità. Non c’è territorio che tenga.
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