Pechino ha deciso di limitare l’uso del chip H20 in Cina dopo alcune dichiarazioni del segretario al Commercio americano Howard Lutnick che, in un’intervista alla Cnbc del 15 luglio, aveva rivendicato l’intenzione di mantenere la Cina dipendente dalla tecnologia statunitense. “Non vendiamo le nostre migliori tecnologie, né le seconde, né le terze – aveva affermato –. Vogliamo convincere i cinesi abbastanza da far sì che i loro sviluppatori diventino dipendenti dalla tecnologia Usa”.
Parole giudicate offensive da diversi alti funzionari cinesi, tanto che la Cyberspace Administration of China (Cac) e la National Development and Reform Commission (Ndrc) hanno fatto filtrare linee guida informali verso i grandi gruppi nazionali, da ByteDance ad Alibaba. L’indicazione è stata qulla di sospendere o comunque evitare nuovi ordini di H20, citando ragioni di sicurezza. Una mossa che arriva poche settimane dopo la visita a Pechino di Jensen Huang, fondatore e ceo di Nvidia, che aveva ribadito l’impegno della società californiana nel mercato cinese e annunciato la ripresa della produzione di H20 con Tsmc, il colosso taiwanese.
L’H20 non è un chip come gli altri. Si tratta di un processore per l’IA con prestazioni ridotte rispetto alle versioni di punta dell’azienda, proprio per rispettare le restrizioni all’export imposte da Washington nel 2022. Quelle regole, volute prima da Joe Biden e poi mantenute dall’amministrazione Trump, limitano la potenza di calcolo e la velocità di interconnessione dei chip venduti a Pechino con l’obiettivo esplicito di impedire usi militari o applicazioni legate alla sorveglianza di massa. L’H20 era così rimasto l’unico chip di fascia alta acquistabile legalmente in Cina, una sorta di compromesso geopolitico che permetteva alle aziende locali di continuare a sviluppare sistemi di intelligenza artificiale senza oltrepassare la linea rossa fissata da Washington.
Ma ora anche questo equilibrio sembra incrinarsi. Il 12 agosto le autorità cinesi avevano invitato le imprese a ridurre al minimo l’impiego dell’H20, in particolare nei progetti governativi. La decisione era arrivata a poche ore dalla notizia che Nvidia e AMD verseranno al Tesoro americano il 15 per cento delle entrate generate in Cina dalla vendita di chip avanzati, una misura interpretata da Pechino come un ulteriore strumento di pressione.
La vicenda si intreccia con le oscillazioni delle regole imposte da Washington. Ad aprile, l’amministrazione Trump aveva vietato la vendita degli H20 per ragioni di sicurezza nazionale, salvo poi revocare il divieto a luglio, poco prima di un nuovo round di colloqui commerciali con Pechino. Il 17 luglio è stata la stessa Nvidia ad annunciare, con un post sul proprio blog, di aver ricevuto l’autorizzazione a riprendere le spedizioni. Huang, intervenendo anche alla televisione di Stato cinese Cgtn, aveva rimarcato l’importanza del mercato locale. Il messaggio non è bastato a rassicurare Pechino. Se per ora le limitazioni riguardano solo applicazioni sensibili, diversi analisti ritengono possibile un allargamento del divieto anche al settore privato, con ricadute pesanti per Nvidia, che proprio in Cina genera una parte significativa del suo fatturato. Alcuni decisori politici cinesi spingono per accelerare la sostituzione delle tecnologie americane, in particolare nei chip destinati all’inferenza, il cuore dei sistemi di intelligenza artificiale. Un segmento che rappresenta oggi la fetta più ampia della domanda globale di semiconduttori avanzati.
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