Piove sul bagnato per l’ex Ilva di Taranto dove la gara riaperta di recente dal Mimit per il rilancio dell’azienda non rischia di andare totalmente deserta, ma quasi. Al momento, secondo quanto ricostruito da Moneta, il cavaliere bianco che si sarebbe fatto avanti per l’intero complesso siderurgico (Taranto+Genova) sarebbe solo Jindal che si presenterebbe alla corte del ministro Adolfo Urso pure “senza cavallo”.
Una beffa, prevedibile, alla luce del mutato contesto produttivo degli ultimi mesi dopo l’incidente all’Altoforno 1 di maggio. Un fatto estremamente rilevante che, con il sequestro della Procura, ha di fatto compromesso il suo utilizzo e una parte della produzione. Quale migliore occasione per il player indiano che per la terza volta prova a mettere le mani sull’Ilva? L’offerta sul piatto per rilevare gli impianti (quindi senza il magazzino) sarebbe ancora più bassa di quella avanzata in occasione della precedente gara, quando andò in scena il testa a testa Jindal-Baku. Gli indiani – a bocce ferme – potrebbero quindi portarsi a casa l’asset a un prezzo d’acquisto bassissimo, meno dei 100 milioni già offerti all’epoca quando la valutazione era di 400 milioni.
D’altra parte, più il tempo passa, più il valore degli impianti decresce. Dettaglio forse sfuggito agli enti locali tarantini che per mesi hanno fatto ostruzionismo facendo slittare i termini di ogni qual si voglia accordo o trattativa. E che ora dovrebbero rispondere di questa svalutazione. L’Ilva produce da maggio con un solo altoforno attivo e sarà così almeno fino a febbraio 2026. Fino alla fine dell’anno, la produzione sarà affidata all’altoforno 4. Quindi verrà riacceso l’Altoforno 2 e spento il 4. Tutto questo al netto dell’eventuale dissequestro dell’Afo 1, di cui non si conoscono ancora i tempi. Il programma di accensione e spegnimento degli altoforni è legato alla loro manutenzione ed è ormai completamente saltato con la perdita di Afo 1.
Uno squilibrio che ha inciso sulla produzione che ora si attesta non oltre le 5.000 tonnellate al giorno e, a fine anno, potrebbe arrivare a sfiorare appena 2 milioni di tonnellate di acciaio complessive. Un quota davvero poco significativa per la produzione nazionale che nel 2024 si è attestata in calo del 5% a 20 milioni di tonnellate. Flessione che è diventata strutturale secondo i dati di Federacciai: la produzione su base annua era scesa del 2,3% nel 2023 e dell’11,5% nel 2022.
Ora tutti attendono il 15 Settembre come il giorno della salvezza, quando all’orizzonte si rischia solo una simbolica ennesima fumata nera per Taranto.
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