Se la ricaduta più immediata della crisi politica francese sull’economia italiana è rappresentata dal sostanziale azzeramento dello spread tra i Btp e gli Oat (gli equivalenti titoli di Stato di Parigi), in un’ottica di più lungo periodo potrebbe coinvolgere i mercati azionari dei due Paesi. Anzi, il confronto è già iniziato e si sta consolidando. Su diversi fronti. Partendo dai dati macroeconomici, l’Italia è messa meglio per quanto riguarda sia il tasso di disoccupazione (il 6% contro il 7,6% dei cugini d’Oltralpe), sia la pressione fiscale, elevata in entrambi i casi ma con un divario che premia l’Italia rispetto alla Francia (il 42% contro il quasi 44% ). Bene anche il rapporto deficit-Pil (3,4% contro il 5,8% secondo i dati aggiornati alla fine dello scorso anno). Il nostro Paese è costretto a rincorrere, invece, sulla produttività, ferma da noi e in crescita in Francia.
Piazza Affari e la Borsa di Parigi si muovono più o meno in parallelo, con i rispettivi indici principali (Ftse Mib e Cac 40) che presentano performance in calo negli ultimi sei mesi ma in deciso rialzo nel confronto con un anno fa. Diverso è il discorso per quanto riguarda i singoli titoli. La fine del governo Bayrou nell’immediato non ha avuto conseguenze sulla maggior parte delle blue chips d’Oltralpe. Lunedì scorso le vendite alla Borsa di Parigi hanno colpito in misura trascurabile soltanto i titoli dell’auto, con Renault e Stellantis in leggero calo (puntualmente recuperato nella seduta successiva) mentre il Cac 40 è cresciuto dello 0,9%. Un andamento del tutto anomalo e soprattutto in contraddizione con la tradizione che vede normalmente le Borse di tutto il mondo soffrire di fronte alle crisi di governo.
A Piazza Affari all’inizio della settimana si sono distinti in particolare i titoli bancari, a partire da Monte Paschi e Mediobanca, entrambi protagonisti, nei rispettivi ruoli di conquistatore e preda, di una delle più importanti operazioni di consolidamento nel mondo del credito portate a termine quest’anno. Sul fronte opposto, invece, è proseguita la caduta di Campari, che nell’ultimo mese ha già lasciato sul terreno oltre il 12%. Una percentuale che sale a più del 26% se si prende in considerazione la perdita già accumulata da un anno a questa parte.
Stellantis
Il titolo dell’azienda italo-francese e con sede legale ad Amsterdam, nata dalla fusione tra i gruppi Fiat Chrysler Automobiles e Psa, viene scambiato a Piazza Affari intorno ai 7,8 euro, con un calo di oltre il 33% nell’ultimo semestre e del 45% circa rispetto a un anno fa. La crisi dell’auto europea, innescata dai ritardi nell’introduzione dell’elettrico, ha colpito pesantemente la società, che stenta a riprendersi il ruolo di protagonista nel settore dell’automotive. Il 22 aprile di quest’anno ha toccato il suo minimo storico, a 7,267 euro.
E la maggioranza degli analisti è pessimista anche sull’immediato futuro. La valutazione più recente risale a inizio agosto, quando Berstein ha ribadito il giudizio “market perform” (si muoverà in linea con il mercato) e tagliato il target price a 8 euro. In precedenza si era espressa Intesa Sanpaolo che, pur con la conferma del voto “neutral”, aveva alzato a 9,1 euro l’obiettivo di prezzo. In calo invece tutti gli altri target, risalenti a fine luglio, indicati da Berenberg (9 euro), JP Morgan (10 euro), Ubs (8,5 euro), Deutsche Bank (7,5 euro) ed Equita Sim (9,7 euro). Quanto all’analisi tecnica, Teleborsa aveva collocato a 7,493 euro il primo supporto e a 7,363 euro il secondo, mentre sul fronte rialzista la prima resistenza è indicata a 7,881 euro e la seconda a 8,269 euro.
Leggi anche: Stellantis rottama il piano 100% elettrico
Monte Paschi Siena
Il titolo della società che ha recentemente portato a termine la scalata a Mediobanca vale intorno ai 7,6 euro, in crescita del 55% circa rispetto a un anno fa ma in calo del 5% circa nell’ultimo mese. La conquista di Piazzetta Cuccia, ritenuta per anni crocevia della grande finanza italiana e simbolo di un certo capitalismo di élite, rappresenta il completamento di un percorso di rilancio anche di immagine, attuato con pieno successo dall’amministratore delegato Luigi Lovaglio.
D’altra parte le raccomandazioni degli analisti sono ormai da tempo tutte positive. Il mese scorso Intesa ha confermato il “buy” e alzato il target price, portandolo a 8,2 euro, lo stesso livello al quale lo aveva indicato Equita Sim poco prima. In precedenza i giudizi positivi erano arrivati da Barclays e Hsbc.
L’analisi tecnica di Teleborsa, infine, indica a 7,484 euro il primo supporto e a 7,14 euro il secondo, mentre la prima resistenza è collocata a 8,001 euro e la se-conda a 8,518 euro.
Leggi anche: Lovaglio ha piegato il metodo Nagel. E ora Mediobanca dovrà fare squadra
Mediobanca
La merchant bank è attesa a una profonda trasformazione rispetto al ruolo giocato in passato. Il mercato ha promosso a pieni voti l’operazione voluta da Mps, premiando entrambe le società. Lo scorso 25 agosto il titolo Mediobanca ha toccato il suo massimo storico a 21,97 euro, prima di riportarsi sotto la soglia dei 21 euro.
In attesa del cda sul bilancio, in calendario il prossimo 18 settembre, la banca di Piazzetta Cuccia ha incassato la promozione unanime degli analisti. Il report più recente è di inizio settembre, quando Deutsche Bank ha iniziato la copertura sul titolo con il giudizio “hold” (mantenere in portafoglio) e indicando un target price di 18,8 euro. Banca Akros si è espressa con un “neutral” e un obiettivo di prezzo a 20 euro. A loro volta Intesa e Barclays avevano ritoccato precedentemente il target rispettivamente a 19,3 euro e 18,5 euro.
Quanto all’analisi tecnica di Teleborsa, il primo supporto viene collocato a 19,77 euro e il secondo a 18,91 euro, mentre la prima resistenza è indicata a 21,06 euro e la seconda a 22,35 euro.
Leggi anche: Mediobanca si consegna a Mps
Campari
Con oltre 5 mila dipendenti a livello globale e un ampio portafoglio prodotti (è leader mondiale nelle bevande sia alcoliche che analcoliche), la società, fondata a Milano nel 1860 da Gaspare Campari, è oggi una holding domiciliata in Olanda e controllata dalla famiglia Garavoglia attraverso la finanziaria Lagfin.
Il titolo è quotato sul listino principale di Piazza Affari dove lo scorso 9 settembre ha chiuso a 5,834 euro, in calo del 2,41% rispetto alla vigilia. Il valore dell’azione sta attraversando da tempo una fase di debolezza, tanto da presentare performance negative a doppia cifra nell’ultimo mese (-12%) e nell’ultimo anno (-26,49%), mentre nel bilancio dell’ultimo semestre ha limitato i danni (-5,87%). A determinare questa frenata è stato un calo significativo degli ordini e di conseguenza del fatturato.
Gli analisti consigliano mediamente cautela sul titolo. Nei giorni scorsi Jefferies ha confermato il giudizio “hold” (mantenere in portafoglio) tagliando nel contempo a 6,6 euro il target price sul titolo. In precedenza si erano pronunciate Morgan Stanley, Deutsche Bank e Ubs, senza variare i precedenti giudizi. La prima ha però ridotto il prezzo obiettivo (a 6,4 euro), mentre le altre due lo hanno ritoccato all’insù, rispettivamente a 6,2 e 6,6 euro.
L’analisi tecnica di Teleborsa prevede un primo supporto a 5,715 euro e un secondo a 5,597 euro, mentre una prima resistenza è fissata a 6,071 euro e una seconda a 6,427 euro.
© Riproduzione riservata