Quale sarà il prossimo obiettivo di Andrea Orcel, il dominus di UniCredit per l’autunno che si apre? Di sicuro non starà con le mani in mano, conoscendo il suo iper-attivismo che lo ha visto tra i protagonisti del risiko bancario. Sfumato l’assalto a Banco Bpm, bloccato di fatto dalle forche caudine del Golden Power, ma anche da un’offerta carta contro carta poco allettante e sempre a sconto suoi valori della banca guidata da Giuseppe Castagna, ora ha già rivolto lo sguardo all’estero. L’obiettivo primo, fortemente contrastato dal governo tedesco, è Commerzbank. Dalla Bce ha avuto l’ok a salire al 29,9% del capitale ed è certo che convertirà mano a mano le posizioni in derivati fino a raggiungere la soglia autorizzata. Si vedrà se la scalata alla seconda banca tedesca, avviata nel settembre dello scorso anno con l’acquisto per 1,5 miliardi del 9% del capitale e via via rimpolpata con strumenti derivati, diverrà una vera e propria acquisizione ostile, quelle che piacevano a Orcel fin da quando era un giovane studente, avendo incentrato la tesi di laurea proprio sulle M&A non concordate. O se si tradurrà in un grande investimento puramente finanziario da cui estrarre dividendi e plusvalenze implicite.
Operazione win win
In attesa di capire come andrà a finire, va detto che è un’operazione win win comunque vada. Dalla prima acquisizione di titoli, giusto un anno fa, il prezzo dell’azione Commerzbank è lievitato da poco meno di 15 euro agli oltre 32 euro dei giorni scorsi. Sicché, il pacchetto del 9% pagato 1,5 miliardi oggi vale oltre 3 miliardi e grazie ai derivati che hanno stemperato il valore di carico della conversione, Orcel può dire di avere realizzato un investimento che vale in Borsa poco più di 12 miliardi.
Copione analogo per la greca Alpha Bank, su cui il ceo di Unicredit ha messo gli occhi nel 2023 con i primi acquisti dal fondo di risoluzione, via via incrementati fino alla quota del 26% raggiunta di recente. Anche qui stesso modus operandi: un mix di acquisti diretti di azioni e di derivati. Alpha Bank, come del resto l’intero sistema bancario ellenico, ha messo il turbo proprio a partire dal 2023 inanellando utili su utili e exploit sul listino, sicché è passata da 3,3 miliardi di valore di mercato agli attuali 8 miliardi.
Il tempismo in finanza è tutto e Orcel lo sa bene. In ambedue i casi ha saputo cogliere l’attimo: comprando Commerzbank, che stava uscendo da una faticosa ristrutturazione e veniva da prezzi di Borsa depressi da anni, mentre in Alpha ha scommesso sul forte recupero del sistema bancario greco. Dovrebbero bastare questi due esempi a capire meglio l’identikit del “Ronaldo della finanza”, come l’hanno definito. Non certo un gestore di banche commerciali, ma un abile giocatore di poker al tavolo del risiko bancario. Del resto, tutta la sua carriera, prima dell’approdo sulla tolda di comando di Unicredit nell’aprile del 2021, si è svolta all’insegna del M&A bancario. Prima 20 anni in Merril Lynch poi in Ubs. Di fatto un maestro nell’arte di comprare e vendere asset bancari, dove contano i tempi; ma soprattutto i prezzi che devono essere i più bassi possibile. Più i valori di acquisizione sono bassi, più la redditività futura viene amplificata. Non a caso uno dei suoi mantra, che ripete spesso ai suoi collaboratori, è che un investimento si fa solo se si è sicuri che garantisca un ritorno dell’investimento almeno del 15%. Altrimenti meglio lasciar perdere.
Lo scontro su Siena
Non sempre però gli è andata bene. Pensiamo al caso Mps, il malato cronico del sistema bancario che oggi si prende la rivincita conquistando addirittura Mediobanca. Tutti sanno che il Tesoro, che doveva uscire dal capitale, per anni ha cercato un cavaliere bianco che salvasse la banca toscana. L’unico grande istituto che poteva farsene carico era Unicredit, dato che Intesa Sanpaolo dopo Ubi non poteva accollarsi per impedimenti in materia di antitrust.
Da lì partì una lunga trattativa con Orcel che pose da subito condizioni draconiane. Prima un aumento di capitale – quello che fece poi alla fine il Tesoro nel 2022 per 2 miliardi – poi una ricca dote da 5 miliardi per accollarsi il grande malato. Di fatto Orcel voleva Mps gratis. Condizioni tali che fecero naufragare l’operazione, visto che sarebbe stato un ulteriore dispendio per le casse del Tesoro e un affare a costo zero per Unicredit.
Con il senno di poi Mps, grazie alle ricapitalizzazioni pubbliche e soprattutto al taglio del 20% della forza lavoro, oltre al lento venir meno della zavorra delle sofferenze è ripartita con il turbo, in compagnia dell’intero sistema bancario italiano. Un campione di medie dimensioni che oggi avrebbe rimpolpato di utili anche Unicredit.
Ma la teoria del M&A che crea solo valore, altrimenti non si fa, si è vista anche su Banco Bpm. Forte del valore della sua carta bancaria, cresciuta a dismisura come vedremo dal 2021, ecco l’affondo molto razionale dal punto di vista industriale su Piazza Meda. Peccato che quell’offerta è apparsa da subito quasi come uno schiaffo ai soci di Bpm. Niente cash ma solo azioni Unicredit, tra l’altro senza premio ma addirittura a sconto. Poi ovviamente la politica di ha messo molto del suo. Lo sgarbo su Mps non è mai stato digerito ai piani alti del Tesoro e del governo. Orcel si muove con lo stile del banchiere di stampo anglosassone per nulla incline alle considerazioni di sistema. Dunque, la sensibilità politica trova poco spazio nel suo codice. Ma resta un mistero su come abbia potuto pensare che l’assalto a Bpm sarebbe stato accolto placidamente dal ministro Giancarlo Giorgetti, che da tempo ambiva creare – e non ne faceva mistero – un terzo polo bancario unendo Mps e Bpm. Da lì il cammino disseminato di ostacoli, tali da far recedere il banchiere dai propositi di conquista.
Non finisce qui. Ecco che nel rutilante gioco che da un anno imperversa sulla scacchiera bancaria e che il ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, ha definito «Far West» e «gran casino», Orcel ha giocato da consumato professionista su tutti i tavoli. Fino a spingersi nel cuore della battaglia su Mediobanca-Generali con l’acquisto del 6,7% del Leone e di quasi il 3% di Piazzetta Cuccia. Merce di scambio, si presume. Da usare alla bisogna. Lui può sempre replicare che sono investimenti finanziari buoni a creare plusvalenza future.
La girandola
A vederla così, a osservare da vicino questa girandola di operazioni vien da pensare che il golden boy dei banchieri muova la sua Unicredit alla stregua di un private equity. Il paragone può apparire forzato, ma a pensarci bene è il modus operandi proprio degli operatori di private equity. Con la differenza che le banche sono animali economici speciali, dove contano solidità, stabilità e sicurezza nella gestione dei depositi; non certo aziende dove il rischio sistemico è lontano anni luce.
Si dirà: Orcel può permetterselo, perché il suo è un altro modo di estrarre e creare valore. In fondo è quello che piace da morire agli investitori e agli analisti di mercato che da quando ha rivoltato come un calzino la traballante Unicredit, lo hanno eletto loro faro-guida. Come biasimarli? E’ indiscutibile il successo di Orcel nell’aver rianimato la seconda banca del Paese, reduce da anni di perdite e di dimagrimento per fare cassa e sopportare il peso della continue svalutazioni di sofferenze e incagli dell’era post Profumo. Va detto che quando è arrivato in Gae Aulenti, Orcel si è trovato una banca ingessata ma anche pulita dalle sofferenze, grazie al lavoro faticoso e sporco del suo predecessore, il tanto vituperato Jean Pierre Mustier. Che ha passato anni a vendere i gioielli di famiglia (Pioneer, Bank Pekao, eccetera) solo per arginare le perdite da svalutazioni dei crediti malati.
Trovata la banca pulita, Orcel ha messo mano alla macchina. Già nell’anno del suo arrivo si è passati da una perdita di 1,8 miliardi del 2020 a un utile da 1,5 miliardi del 2021. Poi una progressione senza sosta di ricavi e utili che però hanno caratterizzato l’intero sistema bancario, grazie al forte rialzo dei tassi di interesse che hanno fatto correre i margini del prestare denaro. Con il vento alle spalle, Orcel ha portato i ricavi dai 17 miliardi del suo arrivo ai 23,5 miliardi che si è prefisso per la fine di quest’anno; con gli utili cresciuti prima a 6,5 miliardi nel 2022, poi a oltre 9,5 miliardi negli anni successivi con il target promesso nella guidance di 10,5 miliardi per fine 2025.
Tassi alti per tutti
Un percorso che hanno però fatto anche tutti gli altri banchieri. Intesa dal 2021 è passata da 18 miliardi di ricavi a oltre 26 attesi per fine 2025 con utili più che raddoppiati. Banco Bpm negli ultimi tre anni ha visto i ricavi balzare da 3,3 miliardi a 5,4 miliardi con utili quasi quadruplicati. Bper ha raddoppiato entrate e triplicato utili. Come si vede, il contesto esterno ha beneficiato tutti.
La magia di Orcel è stata dunque un’altra: distribuire quasi tutti i profitti ai soci, a digiuno di rendimenti da anni. Tra dividendi e buy back la generazione di capitale interna è finita quasi tutta agli azionisti. Replicando il modello Intesa che da anni fa del dividendo importante la sua strategia. E di conseguenza ecco che il titolo si è messo a volare. Molto più di altri. In fondo il cruccio di Orcel era che, pur avendo più o meno la stessa dimensione di Intesa quanto ad attivo, in Borsa per anni Unicredit è stata depressa valendo meno della metà della prima banca italiana. Che al contrario della Unicredit pre-Orcel, ha da sempre sformato utili crescenti, distribuito alti dividendi e assicurato una solidità e stabilità di risultati a lungo termine. Un maratoneta affidabile e sicuro oltre che redditizio.
Insomma, solo restituendo denaro ai soci si poteva dare carburante al titolo che infatti, tempo quattro anni, ora capitalizza (103 miliardi) persino più di Intesa (98 miliardi). Una corsa formidabile con il valore dell’azione che si è moltiplicato per sei volte dal 2021. Del resto, per un campione delle fusioni e acquisizioni l’obiettivo finale è avere carta bancaria che pesa per dare il via alla caccia nell’arena.
Per dirla in breve: prima si resuscita la banca, si mettono le premesse per la rivalutazione di mercato, grazie al favore degli investitori premiati da cedole e buy back come se piovesse, e poi si va per la crescita esterna. Che la finanza possa aiutare a creare valore e sia l’arma che piace più di ogni altra a Orcel, lo si vede dagli ultimi conti che la banca ha presentato.
Ma come era prevedibile, la marcia rossiniana del margine d’interesse per Unicredit è in frenata – come del resto per tutti i competitor – per ora compensata in parte dall’aumento delle commissioni. Così nei primi sei mesi del 2025 il margine d’interesse è sceso del 2,9% con commissioni però cresciute del 3,6%. Alla fine i ricavi caratteristici sono fermi, ma l’utile netto è salito del 17% a quota 6,1 miliardi dai 5,2 miliardi del semestre del 2024. Da dove sbuca questa differenza? Semplice: Unicredit nei sei mesi ha iscritto maggiori dividendi per 200 milioni (+97%) e soprattutto proventi da investimenti per 865 milioni dallo zero del 2024.
Spallucce sulla Russia
Come si vede è proprio la finanza che ha fatto di nuovo incrementare l’utile del gruppo, pur con l’attività caratteristica ferma. E che nella testa di Orcel prevalga la creazione di valore e più utili possibili, lo dice chiaramente la situazione delle attività in Russia. Una delle richieste del Golden Power, quella di lasciare la Federazione russa, ma soprattutto una delle prescrizioni di Bruxelles e della Bce, è che da anni tutte le attività economiche devono uscire dal Paese sotto sanzioni. Di fronte a ciò, Orcel ha però sempre fatto spallucce, frenando l’exit il più possibile. Il motivo di tanta resistenza è chiarissimo: da Mosca arriva una pioggia di profitti.
Basti osservare che solo nel biennio 2023-2024 le attività nella Federazione russa, tramite soprattutto la banca Ao Unicredit Bank, hanno prodotto ben 719 milioni di utili pre-tasse nel 2024 e altri 888 milioni sempre pre-tax nel 2023. Un biennio d’oro, quindi, con utili cumulati per oltre 1,6 miliardi. E questo a fronte di una drastica diminuzione del portafoglio crediti passati da 3,15 miliardi del 2023 a soli 1,2 miliardi nel 2024. Non solo. Il portafoglio prestiti complessivo sfiorava 8 miliardi nel 2021 prima del conflitto e si attestava a 6,6 miliardi a fine 2022 a guerra in pieno corso. Come si vede un forte dimagrimento, quasi ad annullare la posizione. Come è stato possibile fare utili così alti con l’attività in forte contrazione? Semplice: è l’effetto spread sul fronte dei tassi.
In Russia il costo del denaro è letteralmente schizzato a oltre il 20%. Così, pur con volumi in contrazione, a Mosca si fanno più utili di prima grazie al differenziale sui tassi. Sicché anche il primo semestre 2025 ecco che per Unicredit il paese guidato da Vladimir Putin si è dimostrata una volta di più una gallina dalle uova d’oro: i ricavi dalla Russia sono saliti a 664 milioni da 580 del semestre del 2024. E il risultato pre tasse è stato di ben 599 milioni in aumento da 423 milioni.
Costi decrescenti e un cost/income (l’indicatore che misura l’efficienza gestionale di una banca) del 16% hanno fatto il miracolo di una delle redditività più alte sui ricavi dell’intero gruppo. E questo mentre le attività complessive si sono ulteriormente compresse di un buon 80%. Una volta di più ha prevalso il mantra dell’estrazione di valore tanto caro al capo di Unicredit: lo scattista dell’M&A ha dettato ancora legge. Resta una domanda: quanto potrà durare questa corsa a perdifiato? Sul punto si fanno scommesse.
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