Non tutte le spremute d’arancia finiscono nel bicchiere. Alcune – decisamente speciali – vengono riversate in un reattore chimico di nuova generazione, che restituisce un estratto a base di litio, cobalto, nichel, manganese e grafite: le super “vitamine” della nuova era energetica e industriale, le terre rare che oggi rappresentano un vero e proprio asset strategico. Il procedimento che consente questa trasformazione ha radici tutte italiane. Anzi, pugliesi. A Foggia, nel cuore del Tavoliere, un gruppo di giovani ingegneri e ricercatori ha dato vita a una startup che sta riscrivendo le regole del riciclo delle batterie al litio esauste. In un territorio ricco di scarti agricoli da sempre poco valorizzati o addirittura destinati al macero, AraBat, la giovane impresa guidata dal ceo Raffaele Nacchiero, ha messo a punto un sistema altamente innovativo che utilizza le bucce d’arancia, le foglie di carciofo e persino le alghe marine come agenti naturali per estrarre le materie prime critiche contenute nelle batterie, trasformando i rifiuti pericolosi in risorse fondamentali per l’industria. La portata rivoluzionaria di questa tecnologia è dirompente, anche perché apre al nostro Paese interessanti scenari in un mercato che a livello globale ha raggiunto un valore di quasi 7 miliardi di dollari nel 2024. E al 2033 si prevede una crescita sostenuta fino a 20 miliardi, con un tasso di avanzamento annuo di oltre il 15 per cento.
Innovazione Made in Puglia
«L’idea è nata nel 2020, quando, ancora studenti universitari, abbiamo deciso di unire le nostre competenze per affrontare un problema spesso ignorato: che fine fanno le batterie al litio una volta esaurite? Si parlava molto di auto elettriche e di transizione green, ma nessuno si preoccupava davvero di questo aspetto decisivo», racconta a Moneta lo stesso Nacchiero, spiegando così la genesi di un progetto partito dal territorio e ora arrivato a interessare i grandi investitori internazionali. «Abbiamo validato la nostra tecnologia grazie a un progetto pilota in Canada. Ora stiamo lavorando allo scale-up industriale e abbiamo studiato un ulteriore procedimento che, per la prima volta al mondo, consente di estrarre la grafite grazie alle alghe», prosegue il giovane ingegnere gestionale ora alla guida di AraBat. Il prossimo step è quello di costruire un impianto pilota in Puglia: «Stiamo raccogliendo un round da un milione di euro con il contributo di diverse realtà, perlopiù internazionali».
Tecnologia in tre fasi
Il processo sviluppato dalla start up Made in Foggia prende il nome di idrometallurgia verde e si fonda su tre fasi. La prima è un pretrattamento meccanico: le batterie vengono scaricate, smontate e triturate, separando materiali secondari come rame e alluminio, e ottenendo la cosiddetta black mass, il concentrato polveroso che racchiude i metalli critici. Il cuore pulsante della nuova tecnologia arriva nella seconda fase: la lisciviazione biologica. In un reattore di nuova generazione, la black mass viene immersa in una soluzione di acqua, acidi organici deboli e biomasse vegetali, come le bucce d’arancia, le foglie di carciofo e le alghe marine. L’ultimo atto è quello delle precipitazioni selettive: regolando con precisione il pH della soluzione, AraBat è in grado di recuperare in forma solida nichel, manganese e cobalto, sotto forma di idrossidi, e litio come carbonato, fondamentale per l’industria delle batterie. Il tutto con un grado di purezza dei materiali ottenuti che sfiora il 90%, con un tasso di recupero superiore all’80% e con grado di efficienza oltre il 95 per cento.
Grazie a questi risultati, AraBat ha ottenuto una serie di riconoscimenti come il premio nazionale per l’innovazione 2022, l’Eni Joule for Entrepreneurship 2022, ma anche l’Impact Award 2025 di Cassa Depositi e Prestiti e il recente premio dalla Silicon Valley assegnato alle 200 start up più innovative al mondo. Al di là degli onori, tuttavia, la start up pugliese ha anche sperimentato il percorso a ostacoli che spesso si trova ad affrontare chi fa impresa nel segno del cambiamento. «Abbiamo ricevuto molto interesse ma abbiamo anche appurato che molte realtà sono ancora lontane dal comprendere il sistema innovazione. Poi ci siamo affacciati al mondo del venture capital e abbiamo colto alcune difficoltà: innanzitutto troppa lentezza burocratica. In media, all’estero un investimento da un milione di euro viene concesso entro cinque o sei mesi. In Italia i tempi raddoppiano. Per non parlare delle mille certificazioni, dei criteri macchinosi e della bassa attitudine al rischio», osserva con amarezza lo stesso Nacchiero.
Eppure, dalle bucce d’arancia può arrivare un grande assist di carattere geopolitico. Mai come ora, infatti, gli equilibri industriali si giocano proprio sulle terre rare. «Nell’area asiatica da oltre dieci anni investono con libertà e risk taking sul riciclo delle batterie, quindi abbiamo un grande divario da colmare per non rimanere dipendenti. Fino a oggi, in Italia raccogliamo le batterie al litio e le diamo ai pochi impianti di riciclo presenti in Francia, in Germania, in Svizzera, arricchendo i loro player industriali», osserva ancora il ceo di AraBat. Urgono nuovi nutrienti per rafforzare il nostro ruolo internazionale: una spremuta (di arance e carciofo) forse può aiutare.
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