Una quantità di uranio delle dimensioni di un uovo può soddisfare il fabbisogno energetico di una persona per tutta la sua vita. E proprio il metallo bianco-argenteo appare destinato a rivestire un ruolo sempre più centrale negli equilibri energetici futuri. Il legame tra il boom dell’intelligenza artificiale e l’uranio è più stretto di quello che si possa immaginare in quanto la rivoluzione dell’IA ha innescato una crescente brama di chilowattora. I data center da soli potrebbero utilizzare più energia del Giappone già entro il 2026 e dell’India nel 2030; entro quell’anno il volume di elettricità che fluisce attraverso le reti globali potrebbe aumentare del 30% in quanto l’intelligenza artificiale e l’elettrificazione dei trasporti richiederanno più elettricità. Tutto ciò inevitabilmente rimette al centro l’energia nucleare come fonte pulita in grado di far fronte a questa impennata della domanda energetica. Quattordici anni dopo l’incidente di Fukushima, il cui clamore comportò il dietrofront di molti progetti in tutto il mondo, il nucleare è tornato al centro dei piani energetici dei maggiori paesi, Italia compresa. In giro per il mondo ci sono in tutto 63 centrali nucleari in costruzione e la Cina da sola punta a costruire 150 centrali nucleari entro il 2040 triplicando la propria domanda di uranio. Anche l’Europa si sta incamminando verso un nucleare, con il crescente interesse verso sistemi di produzione di ultima generazione, gli Small Modular Reactor (SMR).
I piccoli reattori modulari potrebbero essere un mercato potenziale di 1.000 miliardi di dollari entro il 2050 stando alle stime del team Cleantech di Bank of America, rappresentando una soluzione più flessibile rispetto alle grandi centrali convenzionali e richiedono meno tempo per la costruzione. “Ma la fusione nucleare è la tecnologia che ci sposterà davvero da un mondo di scarsità di energia all’abbondanza”, aggiunge Bofa ricordando come siano stati fatti passi avanti nei magneti superconduttori. Dopo una pausa di quarant’anni, anche gli Stati Unti si stanno muovendo e puntano a un aumento di quattro volte della capacità installata entro il 2050. «La geopolitica incoraggerà maggiori investimenti per garantire la catena di approvvigionamento nucleare, come parte della corsa alla supremazia dell’IA», spiega Bofa.
Dietro la rinascita del nucleare nasconde però una grande insidia: la domanda di uranio per i reattori nucleari è destinata a crescere del 30% nei prossimi cinque anni e oltre raddoppiare entro il 2040, serviranno quindi 150mila tonnellate di uranio e la World Nuclear Association (Wna) ha avvertito circa il concreto rischio di deficit strutturali con il ciclo di sviluppo di un nuovo giacimento di uranio che richiede oggi dai 10 ai 20 anni. «Con le miniere esistenti destinate a esaurirsi nel prossimo decennio, la necessità di nuove fonti primarie di uranio diventa cruciale», si legge nel report della Wna. Oltreoceano il Dipartimento dell’Energia ha esortato le aziende produttrici di uranio ad accelerare lo sviluppo delle risorse per sostenere l’espansione della produzione di energia nucleare e soddisfare la crescente domanda di energia.
«L’avvio della produzione di nuove miniere richiede non solo tempi lunghi, ma anche prezzi dell’uranio tali da rendere economicamente sostenibile l’investimento», argomenta Marco Mencini, head of research di Plenisfer Investments SGR. Kazatomprom, il maggiore produttore mondiale con oltre il 40% del mercato, prevede per il 2026 una riduzione della produzione del 10% nel 2026, data la necessità di prezzi stabilmente più elevati, pari ad almeno 80 dollari, per tornare al 100% di utilizzo del sottosuolo. Già quest’anno la domanda globale di uranio è stimata in crescita a circa 195 milioni di libbre, a fronte di una produzione primaria compresa tra 155 e 160 milioni. In questo contesto le quotazioni dell’uranio rimangono a livelli elevati anche se sotto i picchi del 2024, ma la scarsità di offerta della materia prima porta gli analisti a valutare quella attuale solo una pausa all’interno di un rally pluriennale. I prezzi spot dell’uranio viaggiano comunque sopra i 75 dollari a libbra, valore più che doppio rispetto al prezzo medio di circa 30$ registrato tra il 2016 e il 2021, anche se il record ad oltre 100 dollari di inizio 2024 è lontano. «Il picco del 2024 è stato sostenuto da massicci acquisti delle utilities che negli ultimi 12 mesi hanno invece limitato l’attività di approvvigionamento, inferiore al tasso di sostituzione delle scorte, in attesa di un calo dei prezzi», rimarca Mencini che si aspetta una risalita progressiva delle quotazioni verso i 100 dollari nel medio termine.
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