Si può nascere a Monza, traslocare a Foggia, partire per Londra, rientrare a Roma e trasferirsi a Dubai. Aaron Rutigliano, di anni cinquantadue, mese di maggio, giorno nove del Settantacinque, è l’italiano itinerante, proprietario di un ristorante, Gola, 787 Fulham Road, Londra, che dopo quindici anni di gloriosa attività, ha spento le luci e chiusa definitivamente la porta d’ingresso. E’ accaduto la sera dell’1 di agosto, salutati gli ultimi clienti, abbracciati i sei dipendenti, Rutigliano ha capito che l’isola può anche essere del re ma i sudditi stanno malissimo. Colpa della Brexit e a cadere di tutto il resto, ignoranza anzitutto.
Riassunto. Aaron nasce in una famiglia pugliese di Foffia, la madre e Mirella Lubrano e Giorgio, il padre, avevano raggiunto la Lombardia, dove, come milioni di altri meridionali e pugliesi moltissimi, avevano trovato lavoro, il viaggio era un semplice ritrovo di famiglia con i nonni, Anna e Mario, emigrati a Monza. Il gruppetto rientrò in Capitanata, Aaron aveva idee mille, frequentava diligentemente le scuole, sognava di diventare artista di disegno, arrotondava con lavori necessari alla paghetta, prese il diploma al Kennedy, il liceo artistico e un giorno, come nei migliori racconti di avventura, accompagnò a Milano un’amica che doveva iscriversi ad una scuola di graphic designer. Il segretario dell’istituto consegnò una scheda di iscrizione anche all’accompagnatore, Aaron si presentò all’esame e fu bocciato in inglese. Da buon pugliese ha la capa tosta, decide di andare a Londra e di iscriversi alla stessa scuola che, colpo di scena, lo promuove proprio nell’esame di lingua inglese. Euforia, entusiasmo, incomincia a fare il cameriere in ristoranti italiani, subito all’Osteria dell’Arancio, in King’s Road, ma la voglia è altra, il disegno, l’arte grafica e allora si presenta da Harrod’s e qui lo provano, allestisce una, due, tre vetrine, l’aria di Londra, grigia e pesante, improvvisamente si fa brillante ma Aaron freme, si è già stufato, torna a Foggia e per dimenticare la nebbia trascorre le vacanze in Gargano.
L’ASCESA DI AARON
Sole, mare, spiaggia, caldo, si concede un gelato e nota che l’azienda produttrice è di Manfredonia. Venti chilometri in auto, incontra il titolare della ditta e, dopo i complimenti, gli presenta la domanda del secolo: quanto costerebbe un campione di quella cassata, spedita a Londra? Cinquecento euro, la risposta. Affare fatto, le cassate partono. Il distributore inglese di prodotti italiani telefona ad Aaron e gli dice di tornare subito sull’isola, gli offre un posto in società al 12% più 25 centesimi per ogni gelato venduto, trattasi di monoporzione di cassata. Aaron fa il commesso viaggiatore tra ristoranti, pub e alberghi viene rispedito al mittente tra risate e insulti contro l’italiano senza idee. Giornata di pioggia, Aaron Rutigliano la prende tutta, fradicio cerca riparo in un magazzino: è Harrod’s. Chiede conforto alla zona ristorante italiano, lo chef è napoletano, Giuseppe Silvestri, indimenticabile incontro. Aaron ha una borsa termica con un paio di confezioni del gelato, prova all’approccio con il cuoco napoletano e gli chiede di assaggiare la cassata: «Torna tra un paio di ore, la faccio provare al grande capo», la replica. Ok, sta di fatto che, di nuovo sotto la pioggia, Rutigliano si accorge di avere dimenticato l’agenda sul bancone del ristorante, una volta rientrato ad Harrod’s vede Silvestri e appena più in là, due guardie del corpo e nientepopodimeno che Al Fayed in persona. I due guardiani hanno un vassoio sporco di gelato, il titolare egiziano gli fa i complimenti, gli scaffali frigorifero dei dolci si riempiono di gelati made in Manfredonia. Sterline in quantità imprevista e allora Rutigliano decolla, ha amici senesi, trifolau, raccoglitori di tarfufi, oro bianco, se li fa mandare a Londra, li porta a Giuseppe Silvestri, ormai le porte di Harrod’s sono aperte e si apre anche il mondo. I primi denari gli servono per rilevare in affitto quindicennale un negozio di fiori, in Fulham Road. Azzarda, lo converte in ristorante, nasce “Gola“, in omaggio a uno dei sette vizi capitali, si potrebbe dire che di mezzo ci sarebbe anche Gol ma arriverà dopo. Aaron Rutigliano definisce il suo locale un sito afrodisiaco, da ragazzo aveva studiato un infuso di rucola ideale prima di fare l’amore, il sedano migliorava la circolazione nel sangue e così via. Gola diventa l’oasi di piacere vero, di cucina puramente italiana al cento per cento, ordina prodotti da aziende in difficoltà ma con qualità garantita, diventa portatore sano dell’italianità, nel servizio, nella purezza dei piatti mai contaminati da esperimenti di piccolo chimico, pomodoro, mozzarella, alici, tutto a denominazione di origine controllatissima. Il tam tam porta Gola ad essere il luogo di ritrovo obbligatorio di calciatori, allenatori, attori, attrici, imprenditori. Cantina con etichette clamorose, tartufi a piacere, 500 coperti a settimane, serata da 1 milione e mezzo di entrate, tre giri di fuochi, il cliente è ospite, si sente a casa. Chi vuole farsi un selfie gode di uno sconto ma deve taggare l’istantanea su Instagram, segue un calice di prosecco se ha 10 follower, una bottiglia di vino se sono 500, cena pagata e taxi incluso se un milione e oltre ma Aaron ammette di avere avuto ai tavoli clienti strafamosi sui social. Esempio: Jeff Bezos gli chiede dove poter comprare l’olio che è presente sul tavolo, Aaron che non ha riconosciuto l’avventore però ci scherza: «Provi con Amazon!», all’uscita viene rivelata l’identità del cliente tra risate e imbarazzo. Accadde anche che una sera Harry The Spare, secondogenito del re, se ne andò da Gola senza pagare, Aaron lo inseguì fuori dal locale ma venne bloccato con una mano sul petto da una guardia del corpo che gli consegnò il dovuto del conto. Massimo D’Alema presentò a Gola uno dei suoi vini, accompagnato dall’ambasciatore d’Italia, Il ristorante era il posto ideale per la gente di football, Antonio Conte aveva un tavolo prenotato a prescindere ogni giorno e il resto della comitiva del Chelsea, del Fulham, dell’Arsenal, del Tottenham. Rutigliano mise in carta uno spaghetto con il merluzzo, pomodorini e capperi, lo chiamò Special, anzi Special One, pubblicando il poster di Mourinho su una lavagna sul marciapiede fuori dal locale. Una sera, si fermò davanti a Gola una Mercedes nera, da un finestrino appena abbassato spuntarono il volto e la voce di Josè Mourinho che, in un italiano stentato, disse: «Tu devi pagare a me la faccia». Aaron lo mandò a dar via l’organo pensando a un gioco, ma il giorno dopo si presentò Nemanja Matic, allora difensore del Chelsea, rimproverò Aaron perché aveva offeso il boss, fine dell’equivoco.
Addio Londra
Si potrebbe ricordare quella volta che Aaron fu invitato da un’amica della manager di McCartney ad un party, Rutigliano raggiunse il bagno ma scattò la sirena dell’antincendio, da una delle toilette uscì Paul McCartney avvolto dal fumo non dichiarato e accusò Aaron di essere il responsabile dell’allarme. Intervenne la security, Aaron perse l’amicizia ma due mesi dopo McCartney ammise di essere il responsabile, amicizia ricomposta. Ma fu la Brexit a concludere questa storia, pensieri e parole di Aaron Rutigliano: «L’arroganza degli inglesi li ha portati a chiudere le frontiere ai giovani lavoratori italiani, europei. Io avevo una squadra di ragazzi che studiavano e arrotondavano con il lavoro al ristorante. La loro avventura finì con le nuove leggi sul lavoro, chi va in un ristorante giapponese ha il piacere di trovare, oltre alla tradizione di quel paese, anche l’accoglienza di personale di uguale origine. Così era per gli italiani. Ma ora ci è stato negato, i costi sono aumentati del 35%, la paga dei dipendenti non europei è passata da 2.000 sterline a 3.500, devo mettere lo spaghetto a 18 sterline, prima era a 12, non tutti si possono permettere certi menù e io non faccio la pasta con panna, piselli e prosciutto, non affumico il pesce con il legno delle foreste amazzoniche come hanno provato alcuni stellati che hanno chiuso dopo tre mesi. Da Gola, grandissimi vini, grandissimi ingredienti, grandissima genuinità. Ma tutto ormai inutile. E allora ho deciso che il tempo era finito, grazie alla Brexit e all’ignoranza gastronomica inglese. Lo ripeto a tutti: ciò che per noi è banale, per il resto del mondo è eccezionale. Londra? Mi hanno offerto soldi per riaprire, mi hanno chiesto di vendere il marchio registrato. Nessuna nostalgia, nessuna malinconia. Ora parto per Dubai, mi hanno contattato come responsabile delle risorse umane per varie imprese». Chissà, magari gli capiterà un altro emiro che ama le cassatine di Manfredonia.
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