La scomparsa di Giorgio Armani segna la fine di un’epoca, ma apre anche un’occasione irripetibile per il futuro del lusso italiano. Non è solo il commiato di uno stilista iconico, ma il passaggio di un’eredità che riguarda l’identità stessa dell’industria nazionale. Armani non ha mai ceduto al canto delle sirene francesi. Ha difeso fino all’ultimo l’indipendenza della sua maison, simbolo di eleganza, rigore e italianità, e ha lasciato una traccia precisa sul cammino da seguire. E non si tratta di un lascito sentimentale. È un’indicazione strategica. Armani ha riconosciuto in EssiLux la solidità, la visione industriale e il radicamento necessari per proteggere e sviluppare il suo lascito. Un riconoscimento implicito all’amico e partner Leonardo Del Vecchio, l’imprenditore che più di ogni altro ha creduto nella possibilità di un capitalismo italiano forte, internazionale e radicato. Il fatto che accanto al nome del gruppo di Agordo abbia indicato anche Lvmh e L’Oreal, come potenziali candidati alternativi, potrebbe anche trattarsi di una mossa diplomatica per mandare un messaggio chiaro al mercato: «Armani non è in vendita a chiunque».
Non che Lvmh e L’Oreal manchino di caratteristiche adeguate, vista la dimensione globale e i rapporti storici intrattenuti, non v’è dubbio che siano anch’essi titolati; ma difettano di una condizione che mai potranno avere: l’italianità. Che per quanto maliziosamente da alcune parti si tenti di annacquare, è invece marchiata a fuoco in ognuna delle scelte attuate da EssiLux.
Il gruppo guidato da Francesco Milleri rappresenta oggi il più grande gruppo italiano del lusso industriale: 127 miliardi di capitalizzazione, 27 miliardi di ricavi, presenza in 150 Paesi, oltre 200.000 di dipendenti. Un gruppo che ha saputo unire manifattura e tecnologia, filiera e finanza, design raffinato e distribuzione globale. Ed è proprio lì, in quella formula così rara e così efficace, che risiede una chance per tutto il sistema-Paese.
Negli ultimi vent’anni, il lusso italiano è stato vittima di un progressivo smantellamento. I principali brand francesi – in particolare Lvmh e Kering – hanno acquisito decine di marchi storici del made in Italy: da Fendi a Bulgari, da Pomellato a Valentino, da Loro Piana a Bottega Veneta. Un saccheggio elegante, spesso molto ben pagato, ma comunque un saccheggio. Di fatto, le maison italiane sono diventate pedine nei portafogli multi-brand dei grandi conglomerati, adattandosi a logiche finanziarie e narrative estranee. Producono valore, ma spesso fuori dall’Italia. Incassano in euro, pensano in dollari, parlano in francese. Basta leggere l’articolo di Camilla Conti a pagina 5 per avere un’idea di un futuro possibile per il gruppo milanese.
Armani ha resistito. Non per nostalgia, ma per coerenza. È l’Hermès italiano: alta gamma, filiera controllata, rigore estetico, indipendenza strategica, lusso assoluto. Non è un marchio da inserire in un conglomerato, ma un caposcuola. Un’azienda che può – e deve – restare il cuore di un nuovo progetto industriale, fondato sulla qualità, sulla continuità e sull’identità. Un’alleanza tra Armani ed EssiLux non sarebbe una semplice acquisizione. Sarebbe un atto di sistema. Un passo per costruire, finalmente, un polo italiano del lusso capace di rivaleggiare con Parigi, non inseguendola, ma proponendo un modello alternativo: radicato nella manifattura, nella coerenza e nella cultura d’impresa. Un polo capace di mettere insieme non solo brand, ma anche filiere produttive, formazione di eccellenza, giovani talenti, innovazione sostenibile.
Non si tratta di visioni irrealistiche. L’articolo che pubblichiamo a pagina 4 di Sofia Fraschini aiuta a comprendere quanto il progetto sia invece realistico. Del resto, i numeri parlano chiaro. Una EssiLux-Armani da 30-35 miliardi di ricavi potrebbe ambire a una capitalizzazione nel tempo di 150-170 miliardi. Hermès, con soli 16 miliardi di fatturato, ne capitalizza oltre 220. Lvmh, con 84 miliardi di ricavi, sfiora 250 miliardi di valore in Borsa. La finanza del lusso premia la qualità, la visione, l’heritage. Tutto ciò che Armani ha. Tutto ciò che EssiLux è in grado di custodire e sviluppare.
Ma la posta in gioco non è solo economica. È politica, culturale, persino geopolitica. Il lusso è soft power. È influenza silenziosa. È immaginario collettivo. La Francia ha saputo costruire veri imperi culturali attraverso le sue maison. L’Italia, al contrario, ha spezzettato, svenduto, lasciato andare. Ma oggi, con Armani ed EssiLux, può scrivere una storia diversa. Può scegliere di non essere solo laboratorio creativo, ma anche centro decisionale. Non solo fornitori di bellezza, ma detentori del valore strategico che quella bellezza genera.
Anche per i mercati finanziari italiani, un’operazione di questo tipo rappresenterebbe un segnale fortissimo. Un campione nazionale del lusso, quotato, credibile, con governance solida, capace di attrarre investitori istituzionali, fondi sovrani e capitali pazienti. Una “public company con anima”, per usare un’espressione cara a Leonardo Del Vecchio. Un’eccezione che può diventare il modello del nuovo capitalismo italiano: efficiente, internazionale, ma radicato nei valori e nelle competenze del Paese.
E qui si apre un tema più ampio, che tocca il cuore del dibattito sul nostro modello di sviluppo: la cronica assenza di grandi imprese italiane in grado di competere nei settori strategici globali. Il lusso è uno di questi. E non bastano più boutique di eccellenza o atelier artigianali. Serve massa critica. Serve visione. Serve una piattaforma che tenga insieme cultura d’impresa e ambizione sistemica.
L’Italia ha ancora una chance. Ma deve coglierla ora. Se Armani finisse in mani straniere, sarebbe l’ennesimo tassello perduto di una lunga ritirata. Se invece diventasse il nucleo attorno a cui costruire un nuovo attore globale del lusso italiano, potremmo aprire una stagione diversa. Una stagione in cui la moda non sia solo prodotto, ma progetto. Non solo racconto, ma politica industriale. In fondo Armani il destino del suo Emporio l’aveva cucito da tempo sui suoi capi: EA, ovvero EssiLux-Armani.
© Riproduzione riservata