Sono nozze d’argento per gli Etf in Europa. E il brindisi è a base di record. Sono passati 25 anni da quando, nel 2000, la Borsa di Francoforte apriva le porte ai primi exchange traded fund europei, quei fondi di investimento che si comprano e si vendono sui listini, proprio come le azioni, e mirano a replicare l’andamento di specifici indici di mercato, offrendo ai risparmiatori un’alternativa a più basso costo ai fondi tradizionali (il costo di gestione varia dallo 0,04% allo 0,95% contro quelli dei fondi comuni classici, che possono superare il 2% annuo). A emetterli nel 2000 fu Merrill Lynch, oggi sotto il marchio iShares di BlackRock, sull’azionario europeo, in particolare sugli indici Stoxx Europe 50 e Euro Stoxx 50, dando il via a una trasformazione che avrebbe ridefinito il risparmio gestito nel Vecchio continente.
Dal debutto europeo, sette anni dopo il pioniere americano Spdr S&P 500 Etf, il mercato non ha mai smesso di crescere. Cifre alla mano, secondo l’ultimo Goblal Etf Outlook di State Street, anche quest’anno si preannunciano numeri record per il mercato europeo degli Etf: nel 2025 è previsto crescere di 25 punti percentuali e superare i 2.800 miliardi di dollari di masse in gestione dopo che il 2024 è stato un anno d’oro con flussi in entrata nella regione che hanno superato i 270 miliardi di dollari, segnando un aumento di quasi il 40% rispetto al massimo precedente. E la corsa non rallenterà. Secondo le proiezioni di McKinsey i fondi replicanti potrebbero oltrepassare i 7 trilioni di euro di patrimonio entro il 2028 nel Vecchio continente. Sebbene gran parte riguardi ancora investitori istituzionali, si registra una crescente partecipazione degli investitori retail: i piani di risparmio in Etf sono aumentati di oltre il 40% nell’ultimo anno, salendo da 7,7 a 10,8 milioni, con Belgio, Francia e Germania tra i paesi più attivi e dinamici.
Ma anche l’Italia gioca la sua parte, rappresentando il secondo mercato europeo per volume di investitori in questo segmento, dopo la Germania. Correva proprio il 30 settembre 2002 quando per la prima volta fu possibile negoziare a Piazza Affari degli Etf, e oggi questi strumenti raccolgono 169 miliardi di euro, secondo gli ultimi dati di Borsa Italiana, grazie a una crescita costante soprattutto nel comparto azionario. Eppure, sono passati 23 anni dal loro debutto a Piazza Affari e soltanto 2,2 milioni di investitori italiani hanno un Etf in portafoglio, vale a dire il 15% circa, contro il 45% che detiene obbligazioni, il 44% azioni e il 39% fondi comuni di investimento. Insomma, in Italia gli Etf non sono proprio il prodotto più gettonato. In Germania, ben il 40% detiene questo strumento. Se poi guardiamo Oltreoceano il divario è enorme: oltre Atlantico gli Etf rappresentano fino al 30% degli scambi giornalieri e raccolgono cinque volte di più dell’intero mercato europeo. Un ritardo europeo e italiano che è spiegato dalla scarsa educazione finanziaria dei risparmiatori e il diverso tipo di approccio da parte della distribuzione. Se infatti alle nostre latitudini la maggior parte dei prodotti destinati al grande pubblico viene collocata tramite sportello bancario o reti di professionisti finanziari, dall’altra parte dell’Oceano la consulenza indipendente rappresenta il 70% dell’offerta e riesce a essere più capillare.
Una spinta in avanti arriverà forse da Euronext Etf Europe, la piattaforma – il cui debutto è previsto proprio questo mese – che punta a unificare il mercato continentale di questi fondi (Parigi, Amsterdam e Milano), eliminando la frammentazione delle quotazioni e migliorando liquidità, efficienza e costi di transazione. Almeno così promette.
Guardando al prossimo futuro, una nuova tendenza che sta emergendo in maniera prepotente sono gli Etf attivi. Lo strumento Etf funge a tutti gli effetti da “contenitore“ per strategie attive, andando così a creare un ibrido che non è più chiamato a replicare un determinato indice. Oltreoceano, grazie anche a dei vantaggi fiscali, gli Etf attivi stanno segnando una crescita esponenziale e proprio questo mese si è verificato un “cambio della guardia”: per la prima volta, il numero di Etf a gestione attiva ha superato quello dei veicoli passivi e anche a livello di flussi sono arrivati a rappresentare il 39% di tutti gli afflussi registrati nel mercato statunitense. In Europa il fenomeno è ancora embrionale con 58 miliardi di euro asset gestiti nel primo trimestre del 2025, secondo Morningstar. E potrebbero arrivare a 165 miliardi entro il 2029 con un tasso di crescita annuo del 25 per cento. Pur rappresentando ancora solo il 6,5% delle masse europee degli Etf, questi prodotti stanno attirando per il loro equilibrio tra strategia attiva e costi che si mantengono comunque ancora contenuti – lo 0,64% in media. Resta da vedere però se daranno un ulteriore colpo ai fondi di investimento o finiranno invece per cannibalizzare parte dei loro padri a gestione passiva.
Leggi anche:
1. Trump prepara il suo ETF sul Bitcoin
2. Arrivano gli Etf semi-trasparenti, ecco come funzionano
3. Etf, la mutazione dei replicanti che ora ragionano da gestori
© Riproduzione riservata