Cartamoneta canta. Anzi, conta. Nell’epoca dei bitcoin e delle transazioni digitali, le banconote da collezione hanno un valore che va ben oltre all’importo stampato. Tanto più se i “bigliettoni” in questione sono rari e ben conservati. L’affare è in filigrana e si gioca tutto sulla storia e sull’unicità di ogni esemplare, che da solo può raggiungere anche quotazioni impressionanti. Ecco perché le banconote da custodire in vetrina (o meglio ancora nel caveau, per rimanere in tema) sono diventate un bene da investimento in grado di generare ritorni significativi di carattere economico. Chi punta al rendimento lo ha intuito, come dimostra il forte interesse per le aste di settore.
«Il collezionismo di cartamoneta aveva registrato un boom importante dopo il cambio lira-euro. Questa onda lunga è durata una decina d’anni, seguita poi da un assestamento e da una lieve battuta d’arresto. Ultimamente, dopo la pandemia, il mercato è però ripartito e sta crescendo, anche con una maggior attenzione dei collezionisti per l’orizzonte internazionale», spiega a Moneta Gabriele Tonello, responsabile del dipartimento Numismatica di Aste Bolaffi.
I cacciatori di banconote oggi hanno un profilo abbastanza definito: sono tendenzialmente di genere maschile e di età matura, ma soprattutto sono dotati di una particolare dedizione. Un conto infatti è custodire una moneta in metallo, un altro è preservare un pezzo di carta già usurato dai secoli e dalla storia che ha attraversato. In un mercato – quello della numismatica – che a livello globale sfiora 20 miliardi di dollari, le banconote sono dunque il segmento più fragile e allo stesso tempo affascinante.
«Nel panorama italiano la sezione più interessante dal punto di vista collezionistico è la prima parte del Regno d’Italia, dalla fine dell’Ottocento ai primi del Novecento, perché ha prodotto esemplari significativi e apprezzabili anche dal punto di vista estetico», argomenta Tonello. La banconota più rara del Regno – ci spiega poi – è il 25 lire del 1902 con l’effigie di Vittorio Emanuele III e decorazione floreale. In buono stato di conservazione può infatti valere tra 10 e 50mila euro.

E poi ci sono vari esemplari di 500 lire di quegli stessi anni, altrettanto pregiati. «Nel periodo repubblicano, ci sono un paio di pezzi molto interessanti: il 5mila lire con contrassegno testina del 1947 e il 500 lire contrassegno medusa del 1950. Anche qui, si può arrivare a 25mila euro». Ma le quotazioni possono lievitare ulteriormente. Una banconota del Regno di Sardegna da 100 lire del 1851 ha superato i 70mila euro in asta, mentre una mille lire “Verdi” del 1967, in condizioni impeccabili, è arrivata a oltre 12mila euro. Tra i record assoluti spicca però la leggendaria Grand Watermelon Note, una banconota statunitense da mille dollari del 1890, venduta all’asta per oltre 3,2 milioni.

«Anche all’estero si trovano pezzi davvero notevoli. Penso ad alcune banconote cinesi o africane, di Zanzibar, che sono magnifiche e difficilmente reperibili, soprattutto se in buono stato», continua l’esperto di Bolaffi Aste, sottolineando quali siano i criteri determinanti nella definizione del valore e del riprezzamento al rialzo (per chi punta a investire): la conservazione e la rarità, innanzitutto, ma anche la tiratura, «che va chiaramente rapportata agli esemplari ancora in circolazione dopo secoli». Poi c’è un collezionismo legato a errori nel taglio delle banconote o a spostamenti della matrice di stampa, «ma questo filone è meno marcato rispetto a quanto avviene ad esempio nella filatelia».

E i falsi? «Esistono da quando la cartamoneta è stata inventata, a fine Settecento, e ci sono addirittura appassionati di banconote contraffatte». Perché, in fondo, anche quelle sono testimonianze vive. Tangibili. Ed è questo il motivo per cui, con ogni probabilità, l’ormai ampia diffusione dei pagamenti digitali non spegnerà il collezionismo ma renderà ancora più rari ed evocativi questi pezzi di carta passati di mano in mano e arrivati sino a oggi. «Sono tracce dell’evoluzione economica dell’Occidente. Quelle filigrane raccontano di inflazioni, svalutazioni, trasformazioni politiche e storiche». E sono anche un’opportunità per chi punta a diversificare – è proprio il caso di dirlo – il portafoglio.
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