A poche ore dalla scadenza dell’1 ottobre, le posizioni all’interno del Congresso americano restano distanti e il rischio di un cosiddetto shutdown, ovvero il blocco delle attività amministrative, degli Stato Uniti si fa più reale. In assenza di un’intesa, molte agenzie governative saranno costrette a sospendere le attività non essenziali. Tra le conseguenze più immediate, si segnala il rischio di ritardi nella pubblicazione dei dati macro, tra cui il rapporto sull’occupazione previsto per venerdì. In questo contesto di incertezza, l’oro ha aggiornato i massimi storici, il dollaro si sta deprezzando, i rendimenti governativi calano e l’azionario mostra la propria resilienza.
Cos’è lo shoutdown
Lo shutdown (letteralmente “arresto”) è il blocco delle attività previsto dalle norme federali quando non si raggiunge un accordo sulla legge finanziaria. È, in sostanza, uno stallo nell’allocazione del budget, spesso frutto di contrasti politici tra democratici e repubblicani.
Nella maggior parte dei casi dura pochi giorni, ma nella storia ci sono casi shutdown decisamente più lunghi, di settimane o mesi. E’ il paradosso di una superpotenza che si inceppa non per mancanza di risorse, ma per l’incapacità della politica di trovare un compromesso.
Cosa comporta uno shutdown
Si tratta di una manovra che “mette in letargo” le attività statali. Restano garantiti i pagamenti del debito e della sicurezza sociale, ma centinaia di migliaia di dipendenti federali finiscono in congedo forzato (senza essere pagati). I parchi chiudono, le ispezioni della Food and Drug Administration si fermano, la Sec (la corrispondente Consob americana) sospende le attività di vigilanza, mentre le principali pubblicazioni statistiche vengono rinviate. Il Bureau of Labor Statistics ha già annunciato che in caso di blocco non diffonderà (tra le varie diffusioni attese) il rapporto sull’occupazione di venerdì, una delle statistiche più seguite dai mercati e dalla Federal Reserve.
Non è un dettaglio tecnico: “significa togliere alla banca centrale la bussola con cui calibra la politica monetaria”, afferma Gabriel Debach, market analyst di eToro. In un contesto ormai dichiaratamente dipendente dai dati, questo stop rischia di tradursi in un possibile nuovo corto circuito tra Casa Bianca e Federal Reserve, proprio mentre il dibattito su inflazione e tagli dei tassi è al centro dell’attenzione.
Perchè oggi si rischia lo shutdown
Oggi il terreno di scontro all’interno del Congresso è la sanità. Lo stallo riguarda principalmente il rinnovo dei finanziamenti federali: i repubblicani propongono un’estensione fino al 21 novembre, mentre i democratici chiedono l’inclusione di misure come il prolungamento dei sussidi sanitari legati all’Affordable Care Act, circa 350 miliardi, un onere significativo ma che evita a milioni di famiglie un aumento vertiginoso dei premi assicurativi.
Questo scontro potrebbe rappresenta la leva politica più potente in vista delle elezioni di midterm del 2026. E anche il banco di prova della seconda presidenza di Donald Trump. “La vera novità, però, – sottolinea Debach – è la minaccia della Casa Bianca di trasformare un congelamento temporaneo in licenziamento definitivo di migliaia di dipendenti federali: un salto istituzionale senza precedenti, che apre scenari imprevedibili sul piano politico e legale”.
Quali effetti su Wall Street
Se si guarda alla storia, i mercati hanno sempre distinto tra rumore politico e fondamentali. Negli ultimi cinquant’anni l’indice S&P 500 in media durante lo shutdown (ce ne sono ad oggi già verificati 20) segna variazioni prossime allo zero. L’effetto si vede semmai dopo: più 3% a tre mesi, più 7% a sei mesi. Segno che l’attività economica non scompare, ma viene soltanto rinviata.
Nel 2013, con 17 giorni di stallo, lo S&P 500 guadagnò il 3% e i rialzi furono diffusi, dimostrando come in un contesto macro favorevole il mercato riesce a guardare oltre lo scontro politico. Nel gennaio 2018, con un blocco di soli tre giorni, l’impatto fu minimo: l’S&P 500 si mosse appena dell’1% e i settori rimasero sostanzialmente piatti, senza segnali particolari a livello industriale. Tutto cambiò invece tra dicembre 2018 e gennaio 2019, durante lo shutdown più lungo della storia (35 giorni). In quel caso l’indice guadagnò il 10% e i settori ciclici esplosero. Ma furono soprattutto le industrie a dare la misura del rally, tra semiconduttori e software, petroliferi e minerari. Un’accelerazione che non derivava dallo shutdown in sé, ma dal cambio di rotta della Federal Reserve, che abbandonò la linea restrittiva per tornare su posizioni accomodanti.
Insomma, lo shutdown in sé non determina l’andamento dei mercati. Sono i fondamentali macro a guidare. L’unico vero rischio questa volta più che mai prima è l’incertezza che deriva dal blackout dei dati macro, che in un’epoca di una Fed dipendente dai dati può diventare un fattore destabilizzante per la volatilità di breve.
La vera fragilità è istituzionale
La vera fragilità non è finanziaria, ma istituzionale. “È un test sulla resilienza della macchina statale e sull’equilibrio tra poteri”, sostiene Debach, ricordando come un sondaggio Gallup diffuso la scorsa settimana abbia messo il governo federale in fondo alla classifica di fiducia, con oltre il 60% di valutazioni negative. Un dato che pesa, perché uno shutdown prolungato non farebbe che rafforzare la percezione di un’istituzione inefficiente, litigiosa, incapace di garantire servizi di base, minando quindi la credibilità istituzionale americana.
Lo shutdown darebbe ulteriore spinta all’oro
In questo contesto di incertezza , l’oro torna a brillare. Questa mattina i prezzi del metallo giallo hanno registrato un leggero aumento, raggiungendo un nuovo record storico. Il metallo prezioso continua a trovare un forte sostegno, che ne aumentano l’attrattiva come bene rifugio. “Ad alimentare il rialzo, – precisa Ricardo Evangelista, Senior Analyst, ActivTrades – che vede l’oro sulla buona strada per registrare la migliore performance mensile degli ultimi 14 anni, sono anche le aspettative sempre più accomodanti sul posizionamento della Federal Reserve”. Con i mercati che scontano due ulteriori tagli dei tassi prima della fine dell’anno e un probabile ulteriore allentamento nel 2026, il dollaro statunitense si è deprezzato rispetto alle altre valute, una dinamica che favorisce fortemente l’oro.
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