Penalizzata dal difficile contesto internazionale, l’Italia rallenta ancora. Nel nuovo Rapporto di previsione il Centro studi Confindustria rivede al ribasso le attese di crescita: il Pil salirà appena del +0,5% nel 2025, 0,1 punti in meno rispetto allo scenario di aprile, per poi recuperare solo marginalmente al +0,7% nel 2026. Una dinamica modesta, spiega il rapporto, “frenata in particolare dalla battuta d’arresto nel secondo trimestre 2025, quando il Pil italiano è diminuito di 0,1%, a causa della caduta delle esportazioni”.
Le prospettive restano deboli soprattutto sul fronte estero. L’export italiano, già penalizzato dal calo della domanda europea e dall’euro forte, continuerà a muoversi su ritmi prossimi allo zero, mentre le esportazioni nette daranno un contributo negativo alla crescita. Lo scenario non migliora guardando oltre confine: gli Stati Uniti, “danneggiati dai dazi”, sono attesi rallentare al +1,7% nel 2025 e +1,6% nel 2026; l’Eurozona avanzerà solo dell’1,2% il prossimo anno e dell’1,1% nel 2026. A pesare, scrive Confindustria, è il moltiplicarsi delle barriere commerciali: “gli ostacoli al libero commercio internazionale non provengono soltanto dalla politica commerciale USA, ma interessano la maggior parte dei paesi”.
Se il commercio mondiale frena, con un rimbalzo temporaneo nel 2025 (+2,8%) e un nuovo calo l’anno dopo (+1,2%), la domanda interna italiana regge soprattutto grazie agli investimenti. Dopo il +0,5% del 2024, la dinamica è tornata a rafforzarsi nella prima metà del 2025 e si prevede un aumento medio del +3,0% quest’anno, destinato a rallentare al +1,9% nel 2026. A sostenere la spesa delle imprese sono stati gli incentivi fiscali — dalla Transizione 4.0 alle nuove misure della Transizione 5.0 — e il traino del Pnrr, che ha accelerato i cantieri non residenziali. Anche le costruzioni residenziali, dopo la caduta del 2024, hanno ritrovato slancio grazie a Ecobonus e Bonus Ristrutturazioni, seppure depotenziati.
Molto più deboli i consumi delle famiglie, cresciuti di appena +0,5% nel 2025 e +0,7% nel 2026. La spesa resta frenata da un’alta propensione al risparmio, alimentata dall’incertezza e dai rincari degli anni passati che hanno lasciato i prezzi su livelli strutturalmente più elevati. Nonostante il miglioramento del reddito disponibile e retribuzioni in aumento (+3,2% nel 2025, +2,7% nel 2026), le famiglie continuano a comportarsi con prudenza, privilegiando la casa come bene rifugio e investendo soprattutto in ristrutturazioni.
Sul fronte produttivo, l’industria italiana resta sotto i livelli pre-pandemia: dopo un inizio d’anno positivo, ha già rallentato nel secondo trimestre e dovrebbe crescere solo dell’1% nel 2025, per poi frenare allo 0,4% nel 2026. Meglio le costruzioni, con un +3,1% quest’anno e +1,4% il prossimo, mentre i servizi privati mostrano una ripartenza lenta e solo dal 2026 (+0,6%) dovrebbero acquisire più slancio.
Il mercato del lavoro continua a sorprendere in positivo: l’occupazione aumenta più del Pil (+0,9% nel 2025, +0,5% nel 2026) e il tasso di disoccupazione scende al 6% quest’anno e al 5,8% l’anno prossimo, ai minimi dal 2007.
Su questo scenario, il giudizio di Confindustria è netto: “La crescita anemica del Pil attesa quest’anno e il prossimo rende necessario muovere l’Italia, intervenendo con le leve più efficaci a disposizione”. L’impatto del Pnrr è stimato in +0,8% nel 2025 e +0,6% nel 2026: senza le risorse europee, l’Italia sarebbe sostanzialmente ferma. Ma non basta. Gli incentivi fiscali hanno avuto effetti importanti — tra il 2020 e il 2022 il Piano Transizione 4.0 ha più che raddoppiato il tasso di investimento delle microimprese e quasi raddoppiato quello delle piccole — eppure il capitale netto resta sotto i livelli pre-crisi finanziaria.
Per rilanciare la crescita, Confindustria propone di mobilitare il risparmio privato: “Un ruolo cruciale per accelerare gli investimenti può avere la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane”. Una ricchezza che supera i 6.000 miliardi, di cui oltre 1.500 miliardi parcheggiati in depositi bancari improduttivi. Spostarne anche solo l’1% verso obbligazioni e azioni di imprese italiane, calcola il Centro Studi, significherebbe liberare 15 miliardi di nuovi investimenti produttivi.
La sfida, conclude il rapporto, è duplice: stimolare l’economia nel breve, grazie al Pnrr e a politiche fiscali mirate, e favorire nel medio periodo un salto di qualità negli investimenti tecnologici e infrastrutturali, senza i quali l’Italia rischia di restare intrappolata in una crescita lenta e vulnerabile.
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