Nelle silenziose cucine del domani, non sfrigolano più le padelle né ribollono i mestoli. È una luce sottile a preparare il pasto, un filo di codice che cuce i sapori con la precisione di un ricamo stellare. Ogni gusto, ogni desiderio, ogni esigenza viene tradotto in forma da una macchina che scolpisce il cibo strato dopo strato, senza forni né fuoco. Non si parla di inchiostri, ma di materia edibile: idrogel, composti gelificati, miscele semi-solide studiate per depositarsi con una precisione quasi coreografica. L’immaginazione non è così lontano dalla realtà. Il cibo stampato è già qui: barrette, gelatine, caramelle, ma anche cioccolato, biscotti, pane e pizza. Quest’anno il mercato della stampa 3D alimentare vale 0,89 miliardi di dollari e dovrebbe raggiungere i 3,53 miliardi di dollari entro il 2030, con un tasso di crescita annuo del 31,6%, secondo le stime raccolte dalla società di ricerca MordorIntelligence.
Un numero crescente di chef e creativi del gusto sta già esplorando questa nuova grammatica culinaria, fatta di ricette su misura e design tridimensionali. Ma la vera rivoluzione si prepara altrove: nelle cucine di casa. Come la friggitrice ad aria ha conquistato i piani cottura di milioni di famiglie in questi anni, anche la stampante 3D alimentare potrebbe trovare presto il suo posto d’onore accanto a pentole e robot da cucina. «È più probabile che i primi sviluppi si vedano proprio in ambito domestico, piuttosto che nella grande distribuzione», conferma Silvia Massa, responsabile del laboratorio Agricoltura 4.0 di Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, che nei suoi laboratori di Brindisi ha avviato la stampa di barrette nutrienti e gelatine ottenute da colture cellulari e residui agroalimentari, come quelli che derivano dalla lavorazione della frutta.
«Uno dei grandi vantaggi della stampa alimentare 3D – spiega Massa – è la possibilità di valorizzare quei sottoprodotti che oggi scartiamo ma che sono ancora delle vere e proprie miniere di molecole preziose per la salute». È una cucina che parla la lingua della materia prima rigenerata: bucce, semi, vinacce, scarti di frutta trasformati in ingredienti nobili, arricchiti di fibre e antiossidanti. Come sottolineato al World Economic Forum, entro il 2050, a fronte di un aumento della domanda globale di cibo del 50%, i cambiamenti climatici potrebbero causare la riduzione dei raccolti fino al 30%. Serve un piano B. Un sistema produttivo alternativo, programmabile, indipendente dalle stagioni e dal clima, capace di affiancarsi – senza sostituirla – all’agricoltura d’eccellenza dei territori.
Così, mentre il pianeta cerca respiro e spazio, mentre i raccolti si riducono e la popolazione cresce, la stampa 3D diventa una promessa: non per sostituire la terra, ma per espandere le possibilità della vita. «Non dobbiamo pensare alla stampa alimentare 3D come a una sostituzione della cucina tradizionale – sottolinea Massa – ma come un’evoluzione della ricerca, utile in contesti dove la produzione classica fatica ad arrivare».
E sono diversi gli ambiti dove questa alternativa potrebbe rivelarsi indispensabile: dagli ospedali, ai palazzetti sportivi fino allo spazio. Il cibo stampato potrà essere adattato in forma, colore, sapore e contenuto nutrizionale, rispondendo a esigenze precise: vegetariani, vegani, atleti, allergici, pazienti con fabbisogni specifici. Non è teoria: la startup israeliana SavorEat ha già lanciato sul mercato americano hamburger stampati 3D, a base vegetale, kosher, vegani e senza glutine. Una nuova frontiera del gusto, in cui consistenze diverse si assemblano per ingannare il palato e restituire il piacere, anche in assenza di grassi o sale. «Perché dobbiamo considerare che uno dei vantaggi di questa innovazione è anche quello di poter assemblare consistenze diverse che ingannano il palato e rendono il cibo interessante e appetibile anche se non sono presenti degli elementi sapidi o grassi, normalmente responsabili di una sensazione di piacere», spiega la ricercatrice. Un cibo, dunque, che si definisce più sano. E personalizzabile.
Ma c’è un’altra orbita ancora da esplorare, quella dello spazio. Il pasto stampato può essere la chiave per rendere autonomi gli equipaggi delle future missioni extraterrestri. «Questi alimenti potrebbero trovare applicazione personalizzata anche nello spazio», ribadisce Massa. Non è un’ipotesi. La Nasa ha già collaborato con startup e centri di ricerca per sviluppare alimenti stampati ad hoc, tra cui perfino una pizza arricchita di nutrienti essenziali per la vita fuori dalla Terra.
Forse, un giorno, le nostre cucine sapranno riconoscere il nostro umore, leggere i nostri bisogni e stampare piatti che curano e confortano, disegnati per noi, con noi, dentro algoritmi che hanno imparato ad ascoltare il corpo umano come si ascolta una poesia. E allora sì, mangeremo anche un po’ di futuro, a ogni boccone.
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