La Procura di Milano ha chiesto l’amministrazione giudiziaria per Tod’s per “condotta agevolatoria” per non aver controllato fenomeni di “sfruttamento del lavoro” nella catena di produzione, attraverso opifici gestiti da cinesi. Secondo gli inquirenti, ci sarebbe stata una «violazione conclamata» del reato di caporalato in due fornitori cinesi di Tod’s nelle Marche. La società sarebbe stata a conoscenza della situazione nelle fabbriche perché «periodicamente vi si recavano i funzionari Tod’s dai cui audit emerge la contestazione di violazioni delle norme» con «raccomandazioni» rimaste però poi lettera morta.
Il commissariamento però al momento non è stato ancora disposto. Un difetto di competenza territoriale comporta che – ad avviso prima del Tribunale e poi della Corte d’Appello di Milano – debba essere la magistratura di Ancona, e non quella di Milano, a decidere se accogliere o meno la richiesta di disporre a carico della società di Diego Della Valle la misura di prevenzione della amministrazione giudiziaria. La Procura di Milano contesta questa lettura della competenza territoriale e ha impugnato il diniego in Cassazione: sentenza il 19 novembre.
Le accuse
L’accusa sostiene che «nei confronti della società committente Tod’s spa possano ravvisarsi profili di agevolazione colposa che potrebbero giustificare l’applicazione della misura richiesta dal pm in relazione ai fatti riscontrati presso gli opifici cinesi Wang Junii a Monte San Giusto (Macerata) e Lucy srls a Torre San Patrizio (Fermo)», fornitore e subfornitore di Tod’s «dove venivano lavorati parti di calzature», in particolare tomaie da orlare, «destinate alla vendita al pubblico» e «vendute direttamente dalla società». Ma per i giudici milanesi di prevenzione di primo e secondo grado gli atti vanno trasmessi per competenza territoriale al Tribunale di Ancona perché i fatti di agevolazione colposa del caporalato cinese «si sono manifestati nel territorio marchigiano, ove peraltro ha anche sede legale la società» Tod’s (a Sant’Elpidio a Mare, Fermo).

La Procura
Nel marzo 2025 la sezione misure di prevenzione milanese ha respinto la richiesta di commissariare il colosso della famiglia Della Valle per una questione di competenza territoriale. Per i giudici l’agevolazione colposa dello sfruttamento lavorativo però sarebbe avvenuta non sui semilavorati o i prodotti “destinati alla vendita”, forniti da ditte cinesi nelle province di Fermo e Macerata, ma esclusivamente nella catena produttiva che si occupa di “confezionare le divise” per i “commessi dei negozi Tod’s”, all’interno di due stabilimenti nella provincia di Milano e in Lombardia. Rispetto alle “divise” per il proprio “personale” Tod’s riveste il ruolo di “cliente che richiede una fornitura di prodotti per lo svolgimento della sua attività” e non di “impresa che realizza prodotti che immette sul mercato e caratterizzanti il brand e la sua immagine” è il ragionamento che hanno fatto i giudici nel rigettare la richiesta della Procura di Milano. Per loro solo sulla seconda tipologia di prodotto “il livello di controllo nella filiera” deve “essere certamente più capillare al fine di garantirne la originalità e la qualità” della merce da vendere “al pubblico”.
Per Storari però la legge non fa alcuna “distinzione” tra “prodotti destinati alla vendita” come le “scarpe, dove Tod’s dovrebbe effettuare un penetrante controllo” e quelli a “uso interno” come le “divise, dove Tod’s non dovrebbe controllare nulla”. “Il Tribunale”, ha scritto alla Cassazione chiedendo di accogliere il proprio ricorso, “pare introdurre una sorta di distinzione tra caporalato consentito e non consentito che pare fuori dal sistema“.
La risposta dell’azienda
Tod’s ha confermato di aver ricevuto la notifica dell’udienza, ha spiegato di non avere altre informazioni sul merito delle contestazioni, ma ha aggiunto di operare sempre nel rispetto delle leggi sul lavoro, assicurando di fare controlli costanti sui fornitori e rimarcando che questi firmano con la società accordi con i quali si impegnano a far rispettare le condizioni di lavoro previste dai contratti nazionali.
“Condizioni ottocentesche”
Nelle carte di legge di «paghe da fame, lavoro notturno e festivo, luoghi fatiscenti dove si lavora e si mangia e si dorme, macchinari privi di sistemi di sicurezza per aumentare la produttività concretizzano “condizioni di lavoro ottocentesche”» in cui «due mondi solo apparentemente distanti, quello del lusso da una parte e quello di laboratori cinesi dall’altra, entrano in connessione per un unico obiettivo: abbattimento dei costi e massimizzazione dei profitti attraverso elusione di norme penali giuslavoristiche» che «di fatto favoriscono, seppur colposamente, l’impiego di lavoro nero od irregolare, l’omissione retributiva e contributiva, lo sfruttamento di manodopera».
I precedenti
Gli accertamenti, coordinati dal pm della Procura di Milano Paolo Storari, si inseriscono nella linea di altri casi che hanno riguardato colossi della moda (da Giorgio Armani operations ad Alviero Martini), per i quali si è proceduto al commissariamento. In questo caso non è stato disposto, allo stato, perché pende in Cassazione una questione di competenza territoriale.
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