«Non voglio più essere sfogliata, non voglio più che mi si strappino le ali: le rivoglio tutte, vibranti di luci e suoni per volare». Così scriveva Clemen Parrocchetti, l’ultima pasionaria (è il caso di dirlo) della valanga rosa dell’arte che sta in questi anni gioiosamente invadendo musei, gallerie e case d’asta. All’ironia ribelle di Clemen, artista milanese degli anni Settanta finora sconosciuta ai più, il Museo del Novecento di Firenze dedica in questi giorni un’ampia retrospettiva a Palazzo Medici Riccardi che fu dimora di Lorenzo il Magnifico, che guarda caso fu uno tra i più illuminati mecenati della storia. Le oltre 100 opere in mostra a cura di Marco Scotini e Stefania Rispoli, tra dipinti, disegni, sculture e arazzi che mescolano il surrealismo al revanscismo femminista, stanno lì a testimoniare una volta in più il genio creativo delle artiste donne, fino a ieri ghettizzate nell’oblio da un mondo da sempre dominato dai maschi anche per quanto riguarda tele e pennelli.
E che su quell’apartheid si sia ormai voltata pagina lo dimostra la sequela di grandi mostre personali nei musei di tutto il mondo a celebrare le personalità indiscusse di Louise Bourgeois, Tracey Emin, Jenny Saville, Frida Khalo, Shirin Neshat, Wangechi Mutu, Helen Frankenthaler, Leonora Carrington, Niki de Saint Phalle e tante altre. Degnamente celebrate in questi ultimi anni anche le artiste italiane Marina Apollonio (Peggy Guggenheim di Venezia), Carol Rama (Fondazione Accorsi Ometto di Torino), Carla Accardi (Palazzo Esposizioni di Roma), Giosetta Fioroni (Gam di Torino), Leonor Fini (Palazzo Reale di Milano). Ma la ciliegina si inaugura proprio in questi giorni alla Fondazione Beyeler di Basilea che rende omaggio all’indiscussa regina del mercato (non solo femminile), ovvero l’avanguardista giapponese Yayoi Kusama, 70 anni di carriera rappresentati dagli esordi nel Dopoguerra nella sua Matsumoto ai trionfi newyorkesi tra pittura, scultura, installazioni, performance, collage, moda, cinema e letteratura.
Ma eccoci al dunque. Il globale rilancio e riscoperta dell’arte al femminile si configura certamente come una sacrosanta operazione culturale votata a ristabilire una verità storica colpevolmente incompleta soprattutto per quanto riguarda il passato (basti pensare che dell’importanza delle artiste donne scriveva già nel ‘500 il Vasari nelle sue Vite). È altrettanto indiscutibile però che i sopracitati nomi rappresentino oggi energia fresca e un volano per un mercato dell’arte che in questi ultimi anni ha subito una brusca battuta d’arresto, anche a causa della penuria di capolavori dei soliti noti sulla piazza. I più importanti report come quello di Art Basel-Ubs sono chiari: emerge come la quota di donne tra gli artisti rappresentati dalle gallerie nel 2024 sia salita al 41% (un +1% rispetto all’anno precedente e +6% rispetto al 2018). Nelle gallerie che operano soprattutto sul mercato primario (ovvero che trattano opere in vendita per la prima volta) la percentuale è ancora più alta: 46% delle artiste rappresentate. Anche la quota delle vendite, cioè il prezzo totale delle opere attribuite ad artiste donne nelle gallerie del mercato primario, è salita al 42% nel 2024.
Che si tratti di una vera e propria tendenza è confermato dal fatto che le gallerie con un’elevata rappresentanza femminile (più del 50%) hanno riportato un aumento delle vendite del 4%, mentre quelle con meno del 50% hanno subito un calo del 4%. Va precisato che, in questo scenario generale, i cosiddetti «blue chip» sono ancora limitati a una ristretta cerchia di nomi, quelli che dominano nel mercato delle aste contendendolo ai colleghi uomini: nel 2024 sono state solo tre le artiste donne tra i top 50 lotti venduti in asta per valore in tutti i settori, cioè Leonora Carrington, Joan Mitchell e Georgia O’Keeffe, solo quattro tra i top 50 artisti per vendite totali includendo Yayoi Kusama. Proprio quest’ultima detiene lo scettro delle artiste donne più quotate in asta, collezionando vendite per 80,9 milioni di dollari, seguita dalla britannica Carrington (attualmente in mostra a Palazzo Reale) con 28,5 milioni per l’opera Le Distractions de Dagobert, dall’ex rockstar Joan Mitchell (29 milioni per Untitled del 1959), dalla pittrice inglese Cecily Brown (nella classifica top degli artisti contemporanei viventi) e dalla sudafricana Marlene Dumas che lo scorso maggio ha stabilito un nuovo record per un’artista donna vivente con il dipinto Miss January battuto da Christie’s per 13,6 milioni. La donna è mobile, ribadiva Totò, e il mercato pure.
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