Conflitti armati, disastri naturali e crisi sanitarie non mettono a rischio solo la salute fisica, ma generano traumi profondi, alimentano lo stress psicologico con conseguenti ricadute economiche. Si celebra oggi – 10 ottobre – la Giornata Mondiale della Salute Mentale. Per il 2025, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha scelto il tema “Salute mentale nelle emergenze umanitarie”, sottolineando come guerre, disastri e crisi sanitarie non feriscano solo i corpi, ma anche la mente. Secondo l’Oms, nelle zone di conflitto una persona su cinque sviluppa un disturbo mentale.
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La situazione in Europa e il peso sul Pil
Ma il disagio psicologico non riguarda solo contesti di emergenza. In Europa, un Eurobarometro del 2023 indica che il 46% dei cittadini ha sperimentato un problema emotivo o psicosociale nell’ultimo anno, come ansia o depressione. La Commissione europea ha risposto con un piano d’azione articolato in 20 iniziative faro e 1,2 miliardi di euro di fondi attivabili, per rafforzare prevenzione, accesso alle cure e politiche sul lavoro.
Secondo l’Ocse, la cattiva salute mentale può costare fino al 4% del Pil (prodotto interno lordo) in termini di spesa sanitaria, assistenza sociale e perdita di produttività. Ma prevenzione e accesso tempestivo alle cure, evidenziano OMS, World Bank e numerosi studi aziendali, generano ritorni positivi sull’investimento, grazie a minori costi e maggiore efficienza del lavoro.
Nei Paesi poveri
Nel resto del mondo, però, l’accesso ai servizi resta limitato. Secondo il Mental Health Atlas 2024 dell’Oms, solo il 42% dei Paesi a basso reddito e il 72% di quelli a reddito medio-basso include la salute mentale nei sistemi pubblici di protezione. Milioni di persone sono costrette a pagare di tasca propria, con effetti spesso devastanti.
Uno studio condotto in sei Paesi dell’Africa subsahariana e dell’Asia meridionale ha mostrato che le famiglie con un membro affetto da disturbi mentali sono più povere, con meno beni, standard abitativi inferiori e spese sanitarie più alte. Ma anche nei Paesi ricchi il legame tra disagio psichico e vulnerabilità economica è forte: nelle economie Ocse, le persone con gravi disturbi mentali hanno l’83% di probabilità in più di vivere in famiglie a basso reddito. In India, le donne depresse hanno tre volte più probabilità di destinare oltre metà del reddito familiare alle cure.
A rischio lavoro, scuola e produttività
Il disagio mentale influisce anche sull’istruzione e sull’occupazione. Gli studenti con problemi psichici sono il 35% più propensi a ripetere l’anno scolastico, con ricadute sull’intero percorso di vita. Nei Paesi OCSE, i lavoratori con disturbi mentali guadagnano il 17% in meno della media.
A livello globale, l’Oms ha stimato che nel 2016 si sono perse 12 miliardi di giornate lavorative in 36 Paesi, per un danno economico di mille miliardi di dollari annui. Il problema non è solo l’assenteismo, ma anche il “presenteismo”: chi lavora senza riuscire a essere produttivo.
Una revisione del 2020 ha stimato che il costo annuale per persona trattata varia da 1.180 a 18.313 dollari, a seconda del disturbo. La schizofrenia è la più costosa per paziente, ma ansia e depressione, molto più diffuse, generano il peso economico maggiore. In media, quasi la metà dei costi totali è legata alla perdita di produttività.
In sette Paesi a reddito medio-basso (tra cui Kenya, Nepal e Filippine), il peso della salute mentale sul Pil nazionale è stimato tra lo 0,5% e l’1%. Ma è una stima prudente: la maggior parte degli studi non considera caregiver familiari, lavoro non retribuito, sofferenza psicologica e rinuncia a impieghi più impegnativi. Uno studio negli Stati Uniti che ha incluso questi fattori ha aumentato del 30% le stime ufficiali, portando il costo annuo a 282 miliardi di dollari.
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