Allineati sull’unione bancaria, ma divisi sul nucleare. È sfida a distanza tra Fabio Panetta, numero uno di Bankitalia e Mario Draghi, economista ed ex premier. Nel suo rapporto “L’atomo fuggente: analisi di un possibile ritorno al nucleare in Italia”, Palazzo Koch ha smontato, con uno strano e forse non casuale tempismo (la legge Delega sul nucleare deve andare in Parlamento), gli entusiasmi di un ritorno all’energia atomica contrapponendosi, di fatto, al Rapporto per un’Europa competitiva che definisce il nucleare come una “fonte energetica pulita” al pari delle energie rinnovabili e salvifica anche sul fronte dei prezzi.
In particolare, lo studio di Bankitalia arriva, come un fulmine a ciel sereno, nel bel mezzo del dibattito e valuta le conseguenze del ritorno al nucleare in termini di riduzione del prezzo dell’elettricità, della dipendenza energetica e delle emissioni di gas serra. Dall’analisi emerge che, data la struttura del mercato e della bolletta elettrica, una reintroduzione del nucleare «non avrebbe significativi impatti sul livello dei prezzi». «Ciò è dovuto principalmente al modello di funzionamento del mercato elettrico, dalla struttura delle componenti tariffarie e degli oneri che contribuiscono a definire il prezzo finale dell’elettricità pagato dagli utenti», spiega lo studio. Piuttosto, potrebbe ridurne la volatilità, «contribuendo a stabilizzare la spesa per l’elettricità per i sottoscrittori di contratti a lungo termine».
Sul fronte della dipendenza energetica, lo studio parla di «effetto ambiguo» perché la riduzione delle importazioni di idrocarburi sarebbe compensata da una maggiore importazione della tecnologia (non specificata, ndr) e del combustibile per la produzione nucleare, in questo momento concentrati in Paesi definiti «poco affini all’Italia». La produzione di uranio naturale è molto concentrata; vi contribuiscono 17 Paesi, 6 dei quali (Kazakistan, Canada, Namibia, Australia, Uzbekistan e Russia) nel 2022 coprivano da soli il 90% del totale. Un altro elemento importante che emerge dall’analisi sono le incertezze legate alle tecnologie scelte, gran parte delle quali – spiega lo studio – «non sono ancora disponibili per la commercializzazione».
Tre a zero, insomma. Ma a segnare almeno un punto a favore del nuovo atomo è il contributo di una reintroduzione del nucleare alla riduzione delle emissioni di gas serra che, anche per Bankitalia, sarebbe invece potenzialmente consistente. «Oggi i reattori a disposizione evitano le emissioni di 1,5 Gt di CO₂ ogni anno, circa il 3% delle emissioni complessive di gas serra. Peraltro, un maggior ricorso al nucleare (come alle FER) avrebbe un vantaggio indiretto comportando la riduzione del commercio marittimo, responsabile del 3% delle emissioni globali e dedicato, per un terzo della sua capacità, al trasporto di combustibili fossili».
Un tre a uno che «renderebbe opportuno – spiega il rapporto – un approccio cauto, che predisponga e promuova anche strategie alternative». Eppure, nemmeno un anno fa, il report Draghi ha indicato il nucleare come cruciale per tutelare la competitività europea e raggiungere gli obiettivi climatici, individuando chiaramente, oltre all’estensione di vita dei reattori esistenti, la necessità di costruire nuovi impianti e di investire su SMR (piccoli reattori modulari) e fusione.
Il rapporto, pur enfatizzando le rinnovabili, non esclude il nucleare, ma lo considera una risorsa importante, soprattutto per la decarbonizzazione e il raggiungimento di prezzi energetici competitivi. Inoltre, il nucleare è visto come un fattore chiave per migliorare la competitività europea, garantendo una fonte di energia a basse emissioni e costi potenzialmente ridotti.
Il rapporto Draghi (redatto dopo una interlocuzione con tutti gli operatori) adotta un approccio che non privilegia una specifica tecnologia, includendo rinnovabili, nucleare, idrogeno e bioenergia come opzioni per la decarbonizzazione. In questo, le due analisi si toccano facendo riferimento a una pluralità di soluzioni comunque da mettere in campo. Il rapporto dell’ex premier indica poi come importante l’estensione della vita utile dei reattori nucleari esistenti, considerando il nucleare una componente essenziale della strategia energetica europea, sottolineando il suo ruolo nella decarbonizzazione, nel miglioramento della competitività e nella diversificazione delle fonti di approvvigionamento.
Pur guardando al bicchiere mezzo vuoto, lo «studio Panetta» sottolinea, infine, come negli ultimi anni si sia assistito a una ripresa degli investimenti, che hanno raggiunto nel 2023 oltre 65 miliardi di dollari (nel 2018 erano pari a 40 miliardi), contro 480 miliardi destinati al solo fotovoltaico. Degli investimenti in nucleare, 42 miliardi erano dedicati alla costruzione di nuovi reattori e il resto alla manutenzione ed estensione della vita utile degli impianti esistenti. Secondo la International Energy Agency – IEA, nel 2025 è previsto un picco della produzione di energia elettronucleare.
In Italia si gioca una partita cruciale e molti attori sono in campo per costruire un progetto a lungo termine che abbia un senso strategico e che possa coinvolgere in maniera convincente persone e territori. Ecco perché il derby Panetta-Draghi stimola il dibattito ma potrebbe essere alla fine solo un autogol tutto italiano.
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