Il Parmigiano Reggiano avrà uno sconto sui dazi, passando dal 25% attuali al 15% previsto dall’accordo sulle tariffe doganali siglato tra Ue e Usa. Attualmente sull’eccellenza casearia italiana ha pesato una tariffa base del 15% alla dogana, figlia delle politiche protezionistiche statunitensi degli anni Sessanta, sommata al dazio del 10% imposto dall’amministrazione Trump dall’aprile di quest’anno. Adesso chi esporta il parmigiano si vedrà ridurre le tariffe per entrare nel continente a stelle e strisce. Secondo Il Messaggero l’Italia potrebbe essere vicina a un’esenzione su pasta, olio e formaggi di pasta dura proprio come il parmigiano. A rimanere esclusi sarebbero gorgonzola, mozzarella, burrata e stracchino.
Ogni anno vengono esportate circa 16.000 tonnellate di Parmigiano Reggiano negli Usa, pari a poco meno di un quarto dell’export totale e costituenti circa il 7 % del mercato statunitense del formaggio stagionato e il Parmigiano Reggiano importato viene venduto a prezzi più del doppio del “parmesan” americano prodotto in Wisconsin, California, Midwest.
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Le tappe delle tariffe sul Parmigiano
Per molti anni questo prodotto è stato oggetto di contese portate avanti a colpi di rincari alla dogana statunitense. Negli anni Sessanta, in risposta all’aumento delle importazioni di formaggi europei, il Congresso americano approvò una serie di misure protezionistiche mirate a tutelare il settore lattiero-caseario interno, storicamente forte in stati come il Wisconsin e la California. Il Dipartimento dell’Agricoltura introdusse un sistema di tariffe e contingenti doganali (le Tariff Rate Quotas, TRQ) che colpiva i formaggi stagionati come il Parmigiano Reggiano con un dazio del 15% fino a una certa soglia di importazioni, e dazi aggiuntivi molto più elevati una volta superata la quota. Queste misure furono giustificate con la necessità di bilanciare la sovrapproduzione di latte americana e sostenere i prezzi interni, ma di fatto rappresentarono uno sbarramento commerciale contro prodotti europei di alta qualità.
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Negli anni successivi, il Parmigiano Reggiano si è trovato al centro di molte contese, culminate nel 2019 quando la prima amministrazione Trump, nel contesto della disputa con l’Unione Europea sul caso Airbus-Boeing, impose dazi del 25% su una lunga lista di prodotti europei, tra cui i formaggi DOP italiani. Secondo i dati riportati dal Wall Street Journal, questo fece impennare i prezzi del Parmigiano negli Stati Uniti da circa 40 dollari a oltre 45 dollari al chilo provocando una pesante contrazione delle esportazioni. Il Consorzio del Parmigiano Reggiano, denunciò un calo delle vendite del 20% nel primo anno e avvertì che i piccoli caseifici erano i più colpiti, costretti a ridurre la produzione o cercare mercati alternativi.
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Ma la storia delle tariffe sul Parmigiano è anche una questione semantica. Negli USA, infatti, il termine “parmesan” è considerato generico e non protetto, a differenza dell’Unione Europea che tutela il marchio “Parmigiano Reggiano” come denominazione d’origine. Questa ambiguità lessicale, difesa con forza dalla Food and Drug Administration, ha permesso ai produttori americani, tra cui colossi come Kraft, di vendere formaggi grattugiati sotto il nome di parmesan, senza alcun legame con il prodotto italiano. Una strategia che, unita alle barriere doganali, ha consolidato nel tempo un vantaggio competitivo strutturale a danno dei produttori emiliani.
Il vino
Resta irrisolto il nodo vino. Domani il governo riunirà a Palazzo Chigi tutti gli attori della filiera per un confronto che punta a definire una strategia unitaria. Attorno al tavolo siederanno il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, rappresentanti del ministero delle Imprese, della Salute e della presidenza del Consiglio. Presenti per il comparto produttivo: Alleanza Cooperative Agroalimentari, Assoenologi, Cia-Agricoltori Italiani, Confagricoltura, Copagri, Federdoc, Federvini, Unione Italiana Vini e Coldiretti. Con loro anche Federico Bricolo, presidente di Veronafiere, in rappresentanza di Vinitaly come soggetto attivo nella promozione all’estero. Il ministro ha spiegato nei giorni scorsi che l’incontro affronterà sì il tema dei dazi, ma nel quadro di una visione più ampia, che includa logiche di mercato, comunicazione e promozione. Secondo le stime dell’Unione Italiana Vini, l’impatto dei dazi al 15% potrebbe tradursi in una perdita di 317 milioni di euro per il settore nei prossimi dodici mesi. I prodotti più esposti risultano Moscato d’Asti, Pinot grigio e Prosecco. Crescono le preoccupazioni anche in Franciacorta, dove il mercato statunitense assorbe il 13% delle esportazioni. Complessivamente, il vino italiano negli Stati Uniti vale circa 2 miliardi di euro, su un totale di 8 miliardi di export a livello globale.
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