Dal primo agosto, una nuova ondata di dazi imposti dagli Stati Uniti potrebbe cambiare in peggio lo scenario economico italiano. L’ipotesi più dura, quella scritta nero su bianco da Donald Trump nella sue lettera rivolta agli Stati Ue in cui ha minacciato tariffe generalizzate al 30%, rischia di tradursi in una frenata del Pil dell’1,4%, azzerando la crescita attesa per quest’anno (0,6%) e smorzando anche quella stimata per il 2026 (0,8%). È l’allarme contenuto nell’EY Parthenon Bulletin, che quantifica in quasi 30 miliardi di euro il danno complessivo sul biennio 2025-2026.
Se le trattative tra Usa e Ue dovessero portare a uno scenario più attenuato con dazi al 20%, l’impatto economico si ridurrebbe a circa 20 miliardi, con una perdita di circa 0,9 punti di Pil.
La crisi geopolitica non ferma le imprese
In questo contesto che si preannuncia sempre più fosco e instabile, nei primi sei mesi dell’anno le imprese italiane hanno dato buoni segni di resistenza. Sono state annunciate 143 acquisizioni di aziende estere da parte di gruppi italiani, in crescita del 17% rispetto allo stesso periodo del 2024, quando furono 122. Il valore aggregato delle operazioni è quasi raddoppiato, passando da 7,1 a 13,5 miliardi di euro. Il settore industriale guida la classifica con il 24% delle transazioni.
“Le aziende italiane stanno dimostrando una notevole capacità di adattamento in un contesto internazionale sempre più complesso e sfidante”, spiega Marco Daviddi, managing partner EY-Parthenon. “L’incremento delle acquisizioni all’estero è un segnale della volontà del business di rafforzare la presenza a livello mondiale e di diversificare i mercati di sbocco, anche alla luce delle tensioni commerciali in atto. Nonostante ulteriori eventuali margini negoziali, realisticamente l’ammontare delle tariffe generalizzate difficilmente potrà essere inferiore al 20%”. “In questo scenario, è fondamentale che le istituzioni italiane ed europee adottino politiche coerenti e orientate allo sviluppo strategico, in particolare nei settori industriale ed energetico. La semplificazione degli incentivi e la promozione di investimenti sostenibili rappresentano leve cruciali per affrontare le sfide dei prossimi mesi così come l’accelerazione di accordi commerciali tra vari player mondiali ed europei, in cerca di nuovi sbocchi per i propri prodotti”, conclude.
M&A e Private Equity
L’andamento del mercato delle acquisizioni e fusioni italiano riflette questa capacità di risposta all’instabilità geopolitica. Nei primi sei mesi dell’anno sono state annunciate 600 acquisizioni, per un controvalore complessivo di 18,7 miliardi di euro: un aumento del 6% sul 2024, in un contesto però di investimenti globali in calo del 50% rispetto all’anno precedente. Le operazioni di grandi dimensioni (oltre 1 miliardo di euro) sono diminuite, mentre il segmento mid-market ha tenuto meglio. Il comparto industriale resta centrale con il 22% delle operazioni, in calo dal precedente 27%, seguito da beni di consumo (18%), tecnologia, servizi ed energy & utilities (11%). Proprio i beni di consumo, i servizi e il settore finanziario hanno mostrato un aumento nel numero di transazioni: il primo è salito dal 16% al 18%, il secondo dal 9% all’11%, mentre il comparto finanziario ha guadagnato due punti, passando dal 5% al 7%.
A guidare il mercato sono soprattutto i fondi di Private Equity e quelli infrastrutturali, che nel complesso hanno acquisito 242 aziende italiane per un totale di 12,5 miliardi di euro, contro le 246 operazioni e i 14,9 miliardi del 2024. I fondi restano i protagonisti del mercato, presenti nel 41% delle operazioni. Più del 40% dei loro investimenti avviene tramite aziende che già possiedono, con acquisizioni strategiche (add-on) che mostrano un coinvolgimento diretto nella crescita e nel cambiamento delle imprese italiane.
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