Zero proclami e zero populismi. Questi i tratti distintivi della regia sobria e silenziosa del ministro dell’Economia nei suoi mille giorni alla guida di Via XX Settembre. Anche in ambito finanziario le problematiche non sono mancate ma, alla fine, sono state rispettate le prescrizioni di Bruxelles – da Mps a Ita – accompagnando, al tempo stesso, la ristrutturazione del settore delle telecomunicazioni, difendendo con fermezza (in collaborazione con Palazzo Chigi) il perimetro dell’interesse nazionale, usando lo strumento del Golden Power in modo selettivo ma incisivo. Il risultato? Uno Stato meno invasivo, ma più consapevole del proprio ruolo industriale.
Monte dei Paschi
Il dossier più pesante ereditato da Giorgetti era il Monte dei Paschi di Siena. Dopo un salvataggio costato circa 8,5 miliardi di euro allo Stato tra il 2017 e il 2022, il Mef ha gradualmente ridotto la propria quota – passata dal 64% all’11,7% in tre tornate (novembre 2023, marzo e novembre 2024) – incassando circa 2,9 miliardi. Nessuna speculazione, innanzitutto. Ove mai il Tesoro riuscisse a cedere la partecipazione residua, si raggiungerebbero 4 miliardi circa. Il valore emergente è l’aver contribuito, nell’ultima parte del cammino, a rimettere in piedi un’istituzione italiana con una governance credibile e un management affidabile guidato da Luigi Lovaglio. Nessuna intromissione, dunque, ma un ruolo di osservatore (e azionista) interessato, mentre si profila un’Ops da 13 miliardi su Mediobanca. «Lo Stato non deve fare il banchiere», ha più volte detto Giorgetti, sottolineando che il compito della politica è garantire stabilità. Allo stesso modo, il ministro ha evidenziato – proprio nel corso della presentazione romana di Moneta – come lo Stato si sia «ritrovato con una banca scassata, poi l’ha risanata e ora è la principessa a cui tutti vogliono mettere la scarpetta». Il lavoro, dunque, è stato di buona qualità. I dividendi sono un surplus benvenuto ma quel che conta è l’aver garantito stabilità al sistema.
Proteggere senza bloccare
La filosofia del governo, occorre ribadirlo, non è mai stata quella di fermare il mercato, ma di indirizzarlo quando serve. Così è accaduto con la posizione assunta sull’Ops di Unicredit su Banco Bpm. Le prescrizioni in base al Golden Power sull’erogazione di credito e sul livello degli investimenti (oltre a quelle sull’uscita dalla Russia) nei confronti di Piazza Gae Aulenti potrebbero apparire un “capriccio” visto che analoghe misure non sono state imposte né sull’Ops di Mps né sulla di Bper su PopSondrio. «La differenza tra un ministro e un banchiere è che il banchiere mira giustamente al profitto individuale, mentre il ministro deve fare l’interesse generale, che ci sia conflittualità può darsi che sia naturale», ha evidenziato. I grandi deal non si fanno sulla testa delle istituzioni se potenzialmente in grado di destabilizzare un sistema. D’altronde, senza il decreto Golden Power del 2023, Pirelli oggi parlerebbe solo cinese, mentre il governo le ha aperto la possibilità – in virtù della sua tecnologia avanzata – di non dover abbandonare il mercato americano con i suoi pneumatici “intelligenti”, presenza che il socio Sinochem le avrebbe precluso.
Ita e Tim due storie diverse
Dal 2000 fino alla fine dell’anno scorso Alitalia e le sue varie “reincarnazioni” sono costate ai contribuenti italiani circa 11,5 miliardi. Giorgetti è stato il ministro che ha scritto la parola fine alla telenovela. L’ingresso di Lufthansa con il 41% nel capitale di Ita ha consentito di ottemperare alle direttive di Bruxelles sui salvataggi. A differenza di quanto avvenuto con Alitalia, la compagnia non sarà più “drogata” da aiuti di Stato. Una svendita? No, un risparmio con la garanzia del mantenimento dei posti di lavoro. Altro snodo strategico quello delle tlc. Il governo ha accompagnato lo scorporo della rete fissa di Tim, ora sotto l’egida di FiberCop, con il 16% in mano al Mef e un 11,2% a F2i, nell’ambito dell’offerta guidata dal fondo Kkr. Una scelta di politica industriale che ha messo in sicurezza l’infrastruttura di base e allo stesso tempo ha evitato un salvataggio pubblico della compagnia. Lo stesso può dirsi per lo swap tra Cdp e Poste sul 9,8% di Tim che consente a una società privata di aver un partner pubblico “di mercato”. Discorso diverso per Sparkle, l’unità sottomarina strategica dell’ex monopolista tlc. In partnership con Retelit, il Mef ha messo in sicurezza un altro asset cruciale per la sicurezza nazionale.
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