E’ una questione di geopolitica, ma anche di peso finanziario a livello globale. Non è un caso che si parli sempre più di stablecoin, vale a dire valute digitali ancorate al valore di una moneta come lo possono essere il dollaro o l’euro. L’impulso viene ancora una volta dall’America, dove l’amministrazione Trump ha fatto approvare il cosiddetto Genius Act che rende più facile la realizzazione di queste valute. Grandi aziende, come Amazon e Walmart, stanno già pensando di realizzare stablecoin proprietarie per fidelizzare i clienti. Annusata la minaccia, anche l’Europa si sta muovendo: il rischio è che l’euro possa perdere peso negli scambi globali, con molti cittadini europei che potrebbero usare le stablecoin in dollari per pagare. Il progetto euro digitale voluto dalla Bce (in arrivo per il 2029) è una prima risposta, con l’idea di realizzare una moneta europea per i pagamenti da privati e smarcarsi così dalla dipendenza degli intermediari stranieri come Visa o Mastercard.
Anche il mondo privato, tuttavia, si sta già muovendo e con tempi anche più celeri della Banca centrale europea. È il caso del consorzio Qivalis, del quale fanno parte dieci banche europee, tra le quali le italiane Unicredit e Banca Sella. Ogni banca possiede una quota del 10% della società che ha sede ad Amsterdam e ha nominato come amministratore delegato Jan-Oliver Sell, ex numero uno del ramo tedesco di Coinbase che è uno dei più grandi exchange di criptovalute al mondo. Il presidente è invece Howard Davies, tra le altre cose ex direttore della London School of Economics. Fonti vicine al progetto hanno spiegato a Moneta che l’intento non è fare concorrenza all’euro digitale, che sarà principalmente utilizzato per i piccoli pagamenti con gli europei che potranno detenere una cifra non superiore a 3mila euro (ma c’è chi dice sarà inferiore). L’obiettivo è di utilizzare la stablecoin di Qivalis per i pagamenti tra aziende, in particolare transfrontalieri. Per le banche sarà l’occasione di ridurre le commissioni da pagare agli intermediari, potendo offrire servizi più vantaggiosi alle aziende. Ma non solo: essendo su tecnologia blockchain, i pagamenti potrebbero essere programmabili e partire all’avveramento di determinate condizioni, per esempio l’effettiva consegna della merce. Il consorzio, che da poco include anche il big francese Bnp Paribas, punta a presidiare una tecnologia che potrebbe trovare grande diffusione nel prossimo futuro e vorrebbe mettere a punto la stablecoin già nella seconda metà del 2026.
Tuttavia, non si tratta dell’unico progetto di stablecoin con protagoniste banche italiane. Il consorzio Bancomat – che ha Intesa Sanpaolo tra i principali soci con il 18,03%, insieme con Mps col 4,3%, Bpm al 4,3% e Bper al 2,7%- è al lavoro sul progetto di una “stablecoin di Sistema” che dovrebbe essere pronta nel 2026. Il progetto si chiama Eur-Bank e, spiega una nota di Bancomat, «è uno strumento pensato per banche e i cittadini, che consente di accedere in modo sicuro ed efficiente al mondo dei digital assets regolamentati, come ad esempio i titoli di Stato». Il lancio – aveva detto Federico Freni, sottosegretario al Mef – da parte di Bancomat «va salutato con grande favore: il carattere fortemente innovativo del progetto garantirà nuovi servizi, come pagamenti transfrontalieri più economici e rapidi, insieme a conti di deposito più redditizi».
L’amministratore delegato di Bancomat, Fabrizio Burlando, ammette che sulla partita delle valute digitali gli Stati Uniti sono molto più avanti rispetto all’Europa. Un vantaggio, tuttavia, che va «a scapito della stabilità del sistema e per questo l’Europa può giocare veramente un ruolo da protagonista creando una moneta digitale in euro ma regolata quindi emessa dalle banche e soggetta alla regolamentazione Micar», il regolamento europeo che regola le cripto-attività.
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