La Corte costituzionale ha riconosciuto che le Regioni in disavanzo potranno utilizzare parte del contributo alla finanza pubblica per spese d’investimento. Una decisione che, pur mantenendo la cornice della disciplina di bilancio, introduce una significativa apertura verso le amministrazioni con conti in rosso.
La sentenza, emessa sul ricorso della Regione Campania contro la legge di bilancio 2025, ha dichiarato infondate le censure di incostituzionalità ma, al tempo stesso, ha “sollecitato” il legislatore a rivedere la rigidità della norma che preclude alle Regioni in disavanzo qualsiasi investimento per l’intero quinquennio. La Corte teme che tale preclusione possa generare “divari infrastrutturali e discriminazioni territoriali”, in contrasto con il principio di uguaglianza sostanziale.
Una posizione che, letta in chiave istituzionale, appare come un invito a bilanciare rigore e sviluppo: garantire la tenuta dei conti pubblici, sì, ma senza penalizzare i territori in maggiore difficoltà economica. Tuttavia, non mancano le perplessità. Il rischio è che, nel tentativo di attenuare le disuguaglianze territoriali, si finisca per legittimare l’uso di risorse pubbliche da parte di enti che non hanno ancora risanato i propri bilanci.
La Consulta, nel richiamare il principio di “dialettica orientata al bene comune” tra Stato e Regioni, solleva anche un tema di metodo: il coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, definito “indefettibile” per le prossime manovre. Una scelta di trasparenza e partecipazione istituzionale che dovrebbe, nelle intenzioni della Corte, evitare i cosiddetti “tagli al buio” e rendere più sostenibili le politiche di contenimento della spesa.
Equilibrio
Eppure, proprio qui si innesta la contraddizione: da un lato, la Corte ribadisce la necessità di equilibrio e prudenza; dall’altro, suggerisce un allentamento dei vincoli per chi è già in difficoltà. Una linea di compromesso che rischia di confondere il confine tra autonomia e responsabilità finanziaria.
In sostanza, la decisione della Consulta non stravolge le regole, ma introduce una crepa nel principio del rigore. È una sentenza che invita a ripensare la disciplina di bilancio non come un limite assoluto, bensì come uno strumento flessibile. Ma la vera sfida sarà politica: capire se questa flessibilità potrà davvero ridurre i divari territoriali o se finirà, ancora una volta, per giustificare la spesa senza copertura.
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