La pasta il piatto immagine della cucina italiana che il prossimo 10 dicembre in India a Nuova Delhi è avviata a ottenere il riconoscimento ufficiale quale Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità Unesco, dopo la valutazione tecnica positiva del dossier di candidatura delle scorse settimane. Per 8 italiani su 10 la pasta si identifica con l’Italia e per ben il 97% ricopre il ruolo di ambasciatrice del Made in Italy, secondo la ricerca demoscopica dell’Istituto AstraRicerche. La pasta con il 45% si posiziona anche nella top 5 degli elementi che rendono gli italiani fieri di esserlo dietro a monumenti (85%), arte (76%), paesaggi naturali (74%) e letteratura (69%), ma davanti alla musica (40%), all’opera lirica (35%) e allo sport (27%).
«Se l’Italia fosse rappresentata da un piatto, per sette italiani su dieci la pasta è la risposta, a testimonianza del suo status di simbolo gastronomico italiano indiscusso. Insomma, se dici cucina italiana, pensi pasta», ha riassunto Margherita Mastromauro, presidente dei pastai italiani di Unione italiana food. Un riconoscimento ottenuto grazie alla leadership nella produzione con circa 4,2 milioni di tonnellate nel 2024 su un totale di 17 milioni di tonnellate realizzate a livello mondiale.
Gli italiani sono anche grandi consumatori con 23,3 chili annui a testa, ma quasi il 60% della produzione di pasta prodotta nella Penisola finisce sulle tavole di tutto il mondo, come confermano i numeri dell’export che tocca oltre 200 Paesi. Con un fatturato che ha raggiunto gli 8,7 miliardi di euro, il comparto rappresenta una delle eccellenze del sistema agroalimentare nazionale.
Le esportazioni sono cresciute del +77% rispetto a un decennio fa, trainate tanto dai mercati Ue (+68%) quanto soprattutto da quelli extra Ue (+86%), arrivando nel 2024 a superare lo storico tetto dei 3 miliardi, secondo un’analisi Coldiretti su dati del Centro Studi Divulga. Il primo acquirente a livello internazionale del Made in Italy nel 2024 è stata la Germania con oltre 570 milioni di euro (437mila tonnellate), seguita dagli Stati Uniti con 491 milioni di euro (281mila tonnellate) e dal Regno Unico con 296 milioni di euro (237mila tonnellate). I primi tre Paesi coprono da soli quasi la metà delle vendite italiane all’estero.
Proprio dal fronte americano arrivano però preoccupanti segnali con i dati sul commercio estero ad agosto (all’indomani dell’entrata in vigore dei dazi) che vedono un calo del 21% in valore rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Un calo che non vanifica, fino a ora, i risultati fatti registrare nel 2025 negli Stati Uniti (+5% nei primi otto mesi), ma che inducono a interrogarsi sul possibile impatto a lungo termine dei dazi del 15% imposti dal presidente Donald Trump. A partire dal primo gennaio 2026 peraltro c’è il rischio che l’amministrazione Usa possa aggiungere una ulteriore tariffa del 91,74%, motivata dalle accuse di dumping rivolte in particolare a due imprese italiane, La Molisana e Garofalo, ma nella relazione del dipartimento sono citati anche altri produttori ai quali si applicherebbe la tariffa aggiuntiva. Fa eccezione la produzione realizzata negli States da aziende italiane come Barilla che ha un proprio stabilimento nell’Iowa.
Un’ipotesi che il governo italiano è però impegnato, con buone chance, a scongiurare. «In uno scenario come quello attuale caratterizzato da minacce e restrizioni, bisogna ricordare che se la pasta italiana continua a mantenere una leadership nel mercato mondiale, lo deve alla propria capacità di conferire unicità ai suoi prodotti, nel campo dei metodi di coltivazione, di produzione, della cura dei processi, della valorizzazione delle filiere nazionali», ha dichiarato Filiera Pasta, organizzazione di Filiera Italia. «Occorre tutelare», sostiene inoltre il presidente Luigi Scordamaglia, «questo patrimonio, difendendo la libera circolazione della nostra pasta nel mondo e rafforzando la diffusione dei valori e dei benefici della buona e sana alimentazione mediterranea, fatta di perfetto equilibrio tra le sue varie e preziose componenti, anche tra le giovani generazioni messe a rischio dall’allontanamento da queste sane abitudini alimentari e sempre più preda di cibo ultraprocessato, chimico e omologato, un fenomeno la cui diffusione sta mettendo a rischio proprio l’aspettativa di vita dei ragazzi».
Le preoccupazioni sul mercato estero si accompagnano ad alcune criticità su quello interno dove nei primi sei mesi del 2025 sono rimasti pressoché stabili gli acquisti in quantità di pasta (-0,6%) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno nonostante una riduzione del 4,6% dei prezzi per le frequenti e diffuse promozioni che hanno fatto scendere il valore della spesa degli italiani per la pasta secca del 5,2% secondo l’Ismea. In controtendenza nel lungo periodo gli acquisti di pasta ottenuta con grano 100% italiano che sono aumentati nel giro degli ultimi cinque anni dal 20% del totale a oltre il 40%, con ulteriori margini di crescita, secondo la Coldiretti che evidenzia la maggiore richiesta da parte dei cittadini di prodotti di origine nazionale, dalla spiga al piatto.
Il successo di penne e spaghetti tricolori testimonia l’alto livello raggiunto dalla produzione di grano nazionale ma, nonostante il favore dei consumatori, la filiera continua a dover subire attacchi da parte di trafficanti e speculatori che deprezzano il prodotto italiano favorendo un massiccio afflusso di grano straniero. Secondo l’analisi del Centro Studi Divulga, le importazioni di grano dall’estero sono aumentate del 9% nel primo semestre 2025 durante il quale il principale fornitore è stato il Canada dove il grano può essere trattato con il diserbante chimico glifosato in preraccolta, pratica vietata in Italia. Oltre l’82% degli italiani si oppone alle importazioni da Paesi che utilizzano sostanze vietate in Italia, come il glifosato in Canada, secondo l’indagine Coldiretti/Censis, poiché aprire i mercati a cibi provenienti da Paesi con norme meno rigorose significa penalizzare le imprese agricole italiane, costrette a rispettare vincoli più severi, e allo stesso tempo ingannare i consumatori.

La protesta
Una mancanza di reciprocità contro la quale 20mila agricoltori della Coldiretti sono scesi in piazza in tutta Italia anche per rivendicare una più equa distribuzione del valore lungo la filiera portando proposte concrete per risolvere la crisi, subito condivise dal governo per voce del ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, dall’istituzione di una sola Commissione Unica Nazionale (Cun) per superare il meccanismo delle Borse merci alla pubblicazione dei costi medi di produzione Ismea per Sud e Centro-Nord.
Misure che hanno permesso di certificare che produrre un quintale di grano duro per la pasta costa agli agricoltori 31,8 euro al Sud e 30,3 al Centro-Nord, ma al momento della vendita il prezzo corrisposto è appena 28 euro, costringendo le aziende agricole a lavorare in perdita. «Serve garantire un margine adeguato, perché produrre sottocosto mette a rischio il futuro delle aziende e del Made in Italy», hanno denunciato il presidente e il segretario generale della Coldiretti, Ettore Prandini e Vincenzo Gesmundo.
Una situazione insostenibile con la produzione di grano duro in Italia su una superficie di 1,15 milioni di ettari che è stata stimata quest’anno in 3,8 milioni di tonnellate, il 15% in meno rispetto a dieci anni fa. Una risorsa preziosa dal punto di vista economico e ambientale con oltre 100.000 aziende che coltivano grano duro destinato alla pasta in Italia spesso in aree interne senza alternative produttive e per questo a rischio desertificazione. Alla perdita economica e di posti di lavoro si aggiunge il rischio ambientale in un Paese che con l’ultima generazione ha perso oltre un quarto della terra coltivata.
In questo contesto è significativa la recente firma da parte del ministro Lollobrigida del decreto, approvato d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, che prevede un ulteriore aiuto di 10 milioni di euro oltre alla dotazione annuale a favore delle imprese che sottoscrivono contratti di filiera di durata almeno triennale, con l’obiettivo di rafforzare la collaborazione tra gli operatori del settore cerealicolo e migliorare la competitività della produzione nazionale. Nel biennio 2024-2025 i fondi stanziati per la filiera nazionale grano duro ammontano complessivamente a 52 milioni e puntano a valorizzare le produzioni cerealicole italiane, che nel 2024 hanno coperto solo il 54,8% del fabbisogno nazionale di grano duro, secondo i calcoli del ministero.
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