Nulla di fatto da parte della Federal Reserve che ieri sera, come da attese, ha lasciato invariata la politica monetaria, mantenendo l’intervallo di tassi sui fed fund tra il 4,25 e il 4,5%. Ciononostante, le sorprese non sono mancate con due membri del board, Chris Waller e Michelle Bowman, che hanno votato a favore di un taglio. Entrambi hanno recentemente affermato che la debolezza del mercato del lavoro fosse il problema principale. L’ultimo caso simile, con più di un voto “dissenziente”, risale al 1993.
La Fed nel comunicato di accompagnamento al taglio dei tassi riconosce che “gli indicatori recenti suggeriscono che la crescita dell’attività economica si è moderata nella prima metà dell’anno”. Ciononostante, afferma che “il tasso di disoccupazione rimane basso e le condizioni del mercato del lavoro sono migliorate… [mentre] l’inflazione rimane piuttosto elevata”.
Il presidente della Fed, Jerome Powell, ha ribadito che, sebbene l’incertezza rimanga elevata, l’economia statunitense si trova in una posizione “solida” e che un ragionevole scenario di base da ipotizzare è che l‘effetto inflazionistico dei dazi sia “di breve durata“. In questo contesto, suggerisce che una politica monetaria “modestamente restrittiva” rimanga appropriata.
Taglio a settembre? Mercato non è convinto
Niente proclami in vista del prossimo meeting di settembre («non è stata presa alcuna decisione», ha detto Powell).
“L’impatto dei dazi dovrebbe spingere al rialzo l’inflazione e rallentare la crescita, esercitando ulteriori pressioni sulla Fed. Un modesto allentamento della politica monetaria nel corso dell’anno appare plausibile, ma la flessibilità della Fed potrebbe essere limitata se l’inflazione si rivelasse più persistente del previsto”, commenta Robert Lind, economista di Capital Group.
Prima delle dichiarazioni di Powell il mercato stimava 17 punti base su un potenziale taglio di 25 punti base previsto per settembre e un taglio cumulativo di 46 punti base previsto per la fine dell’anno. Dopo le dichiarazioni, si sono un po’ ridotte. “Settembre è certamente possibile – rimarcano James Knightley e Chris Turner di Ing – ma con l’inflazione che probabilmente sarà spinta al rialzo dai dazi nei prossimi mesi, è improbabile che otterremo conferme di dati sull’inflazione mese su mese più favorevoli prima dei report di ottobre e novembre”.
“Riteniamo che i dazi rappresentino un adeguamento una tantum dei prezzi e che i tassi di inflazione su base mensile torneranno rapidamente a valori più favorevoli verso la fine dell’anno”, proseguono i due esperti di Ing che vedono quindi dicembre come probabile “punto di partenza”, ma che potrebbe trattarsi di un taglio maxi di 50 punti base, se i dati sulla debolezza dell’occupazione e della crescita del PIL diventeranno più evidenti.
Pil oltre attese e Trump invoca taglio tassi
Intanto, ieri prima della Fed il Pil degli Stati Uniti ha segnato un +3% annualizzato nel secondo trimestre, ben sopra delle attese degli gli analisti (+2,3%) grazie allo sgonfiarsi tra aprile e giugno delle importazioni (-30%) dopo il boom di inizio anno. Il calo delle scorte, che ha sottratto 3,2 punti percentuali alla crescita, non ha compensato il contributo positivo del commercio estero.
Dati economici che hanno subito spinto ieri Donald Trump a invocare nuovamente un taglio dei tassi.
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