L’incubo dazi torna ad affacciarsi sui mercati. A finire nel mirino camion pesanti, mobili da cucina e bagno e arredi imbottiti, colpiti rispettivamente da tariffe del 25, del 50 e del 30 per cento.
Ma il colpo più duro è sui farmaci. Donald Trump ha annunciato l’introduzione di dazi del 100% su prodotti farmaceutici di marca, protetti da brevetto, a partire dal primo ottobre se le aziende che li producono non trasferiscono parte della produzione negli Stati Uniti.
Sulla scia di Wall Street e sul crollo dei titoli pharma, oggi le Borse asiatiche hanno chiuso in netto calo. Maglia nera per Seul (-2,45%).
La misura
“Non ci saranno dazi per quei prodotti farmaceutici se sono iniziati i lavori di costruzione di un nuovo impianto negli Stati Uniti”, ha scritto Trump su Truth ieri. E quasi tutte le aziende farmaceutiche hanno annunciato piani per aprire aziende o si sono associate ad aziende già presenti negli Usa.
Nei giorni scorsi Eli Lilly aveva anticipato il programma di aprire una fabbrica da 6,5 miliardi di dollari a Houston, che si aggiunge all’impianto da 5 miliardi già promesso a Richmond, in Virginia.
Ma ci vorranno fino a cinque anni perché le fabbriche diventino operative.
L’analisi
“L’annuncio di Trump rappresenta un’estensione massiccia della strategia tariffaria, che non riguarda più soltanto acciaio e alluminio, ma si spinge dentro i beni di consumo e, soprattutto, nel cuore della salute pubblica. Dal primo ottobre scatterà un dazio del 100% su tutti i farmaci brandizzati importati negli Stati Uniti, con esenzione per chi abbia già avviato la costruzione di stabilimenti in America. È un provvedimento che colpisce non solo un settore, ma un modello, perché la catena del valore del Pharma resta tra le più globalizzate al mondo” commenta Gabriel Debach, market analyst di eToro.
L’industria si trova così schiacciata da un doppio fronte. Da una parte i negoziati IRA sui prezzi dei rimborsi Medicare, che prevedono tagli fino al 65% rispetto alle medie internazionali e che coinvolgono Blockbuster come Ozempic, Wegovy e Austedo. Dall’altra, la minaccia di nuove tariffe mirate. “Non a caso il Pharma tratta a sconto di circa il 36% rispetto all’S&P 500 secondo Goldman Sachs, un livello che fotografa un policy risk permanente più che un rallentamento ciclico. L’annuncio di Trump non ha fatto altro che formalizzare ciò che era già prezzato, confermando che la politica industriale americana oggi colpisce contemporaneamente dove si produce e a quanto si vende”.
L’Europa e le altre geografie
L’Europa dribbla la questione con un’intesa che fissa il dazio al 15%, lo stesso vale per il Giappone. La Svizzera resta più esposta, con una tariffa al 39%, mentre Regno Unito, India e Cina non hanno scudi equivalenti e rischiano di subire l’impatto pieno del 100%.
“La combinazione di dazi e negoziati IRA riduce i ricavi da una parte e alza i costi dall’altra, comprimendo i margini e spingendo le aziende a rivedere i programmi di ricerca, duplicare impianti e sostenere spese crescenti di compliance. È la doppia morsa che ridisegna non solo i conti del settore, ma anche la sua geografia industriale”, spiega eToro.
Guardando ai singoli titoli,“tra le prime venti big pharma mondiali la mediana delle performance da inizio anno è negativa del 7%, con un settore che arretra mentre gli indici toccano nuovi massimi. I campioni della narrativa come Eli Lilly e Novo Nordisk segnano ribassi rispettivamente del 7% e del 42%, mentre colossi americani come Merck, Pfizer e Bristol Myers cedono a doppia cifra. Solo poche eccezioni, come Johnson & Johnson (+26%), Galderma (+35%) e la cinese Jiangsu Hengrui (+58%), riescono a distinguersi in positivo”.
© Riproduzione riservata