Produttore di tessuti jeans di alta gamma dal 1938, Candiani Denim, nata alle porte di Milano, vanta jeans dipinti a mano da Steve Aoki e la collaborazione con Stella McCartney; nonché il primo denim elasticizzato a base vegetale compostabile. Il presidente Alberto Candiani fotografa le ragioni della crisi da un punto di vista unico che parte dalla «sbornia» post Covid.
Fornite il vostro denim da Gucci a Zara, chi meglio di lei può spiegare cosa succede alla moda italiana?
«Il boom del 2021-22 ha fatto molto male al settore che ha creduto che i super consumi post Covid fossero strutturali. La crisi energetica e una netta inversione di tendenza negli acquisti ha riportato il settore sulla terra, ma non senza scossoni. Nel nostro caso i prezzi al metro lineare sono saliti da 5 a 7 euro con i competitor (turchi in primis) che stavano sul mercato a 3,5 euro».
Come avete affrontato la sfida?
«Abbiamo puntato su quello che ci distingue: innovazione, qualità, bellezza. E sostenibilità cercando di recuperare efficienza».
Sta bastando?
«Aiuta, ma per ora le dinamiche nel nostro mercato di riferimento, quello premium tra 150 e 300 euro, sono legate ai prezzi che prevalgono sulle scelte del consumatore».
È un problema italiano?
«No, anzi, l’Italia e l’Europa hanno volumi bassi, ma stabili; è più un tema americano in questa fase dove il mercato interno soffre i dazi ed è sceso qualitativamente».
Che succede ai consumi nella moda?
«È cambiata l’attitudine al consumo e i jeans ne sono un esempio. Ricorda il mito Levi’s? Chi fa più una coda per un 501? Le lunghe file sono per gli i-Phone. Abbiamo fatto troppo, complici anche i social, e poco nel proteggere e tutelare i nostri prodotti».
Tutta colpa del fast fashion?
«Demonizzarlo non ha senso. Ha reso la moda accessibile. Andrebbe però regolato eliminandone gli aspetti peggiori e privilegiando i prodotti fatti in Italia. Sposo l’idea, lanciata da Diego Della Valle (Tod’s), di eliminare l’Iva dai prodotti italiani facendo capire al consumatore il senso di questa scelta. Il Digital product passport aiuterà».
Perché?
«Metterà in luce la filiera. Anche se dobbiamo capire una verità: parte di questa filiera è crollata e non si torna più indietro, quindi l’import resta necessario soprattutto per le materie prime e dobbiamo in tutti i modi salvare e tutelare ciò che è rimasto della filiera senza il sogno utopico di ricrearla».
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