È morto a 91 anni Giorgio Armani, il grande stilista-imprenditore che ha trasformato la propria idea di stile e di eleganza in un impero economico e industriale. A darne notizia, in mattinata, è stato il gruppo da lui fondato nel 1975, oggi una delle ultime grandi case di moda italiane ancora indipendenti, con oltre 9mila dipendenti, 2,35 miliardi di euro di fatturato e una redditività invidiabile nel panorama internazionale del lusso.
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Quando, nel 1976, Giorgio Armani chiuse il primo bilancio, il fatturato ammontava a 569 milioni di lire. Oggi il suo impero vale – secondo le più recenti stime – tra 7 e 10 miliardi di euro. Un valore che tiene conto di performance finanziarie solide, della capacità di presidiare tutti i segmenti della moda (dal prêt-à-porter all’haute couture, fino al lifestyle e all’hospitality), e soprattutto di una governance unica, costruita con attenzione meticolosa proprio per affrontare l’assenza del fondatore.
L’esercizio 2024 si è chiuso con ricavi per 2,3 miliardi di euro, in lieve flessione (-5%) rispetto all’anno precedente, ma con indicatori di redditività che confermano la solidità dell’azienda: Ebitda a 398 milioni, Ebit a 67 milioni e utile ante imposte di 74,5 milioni di euro. In un contesto macroeconomico difficile per il lusso, Armani ha tenuto, anche grazie a investimenti strategici importanti.
Tra questi: il rinnovo di flagship store simbolici, come il building su Madison Avenue a New York, Emporio Armani Milano e Palazzo Armani, ma anche l’inaugurazione della nuova sede in rue François 1er a Parigi, in occasione del ventennale della linea Armani Privé. Prosegue inoltre il processo di internalizzazione dell’e-commerce e l’espansione nell’hospitality, con l’acquisizione della storica Capannina del Forte dei Marmi, a fine agosto.
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La successione
Giorgio Armani ha pianificato da tempo la sua successione. In un’intervista a How To Spend It del Financial Times, aveva parlato di un “trasferimento graduale” delle responsabilità ai suoi più stretti collaboratori, a partire da Leo Dell’Orco – suo braccio destro e responsabile del menswear – e dai membri della sua famiglia già presenti nel CdA: le nipoti Silvana e Roberta (figlie del fratello Sergio) e Andrea Camerana (figlio della sorella Rosanna).
Ma il vero pilastro del dopo-Armani è lo statuto approvato nel 2016, integrato nel 2023, che regolerà il funzionamento della nuova Giorgio Armani Spa. Una struttura a sei categorie di azionisti – tutti uguali sul piano dei dividendi (il 50% degli utili netti sarà distribuito), ma con diritti di voto differenziati – prevede che solo alcune categorie abbiano il diritto di nominare l’amministratore delegato. La maggioranza dei voti in CdA sarà necessaria per approvare eventuali operazioni straordinarie, inclusa una futura quotazione, che potrà essere presa in considerazione non prima del quinto anno dall’entrata in vigore del nuovo statuto.
L’eventuale IPO, secondo gli analisti, porterebbe a una capitalizzazione compresa tra 5 e 7 miliardi di euro. In caso di cessione a un player strategico, basandosi sui multipli di gruppi come LVMH, il valore salirebbe tra 7 e 10 miliardi.
La Fondazione
Accanto alla società, Giorgio Armani ha creato una fondazione a cui fa capo una quota simbolica dello 0,1% del capitale, ma che avrà un ruolo determinante nel preservare visione e valori aziendali: indipendenza, made in Italy, qualità e continuità occupazionale.
La fondazione – insieme alla famiglia e ai manager storici – avrà il compito di custodire l’identità del gruppo, garantendo una gestione prudente anche sul fronte delle acquisizioni, consentite solo se funzionali ad acquisire competenze strategiche non presenti internamente.
Il patrimonio personale
Secondo Forbes, il patrimonio personale di Giorgio Armani è stato recentemente valutato in circa 12 miliardi di dollari. Un’eredità non solo economica, ma simbolica: il lascito di un uomo che ha fuso estetica e impresa, cultura e rigore, intuizione creativa e disciplina industriale.
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