Invitalia ha chiuso il 2024 con un bilancio invidiabile. Ma per l’amministratore delegato Bernardo Mattarella i numeri non bastano, conta l’impatto. Nella visione del manager lo sviluppo del Paese passa attraverso l’efficienza della spesa pubblica, dal sostegno alle imprese – soprattutto al Sud – e dalla capacità di affrontare transizioni complesse, dall’energia all’intelligenza artificiale. Anche nei dossier più delicati, come l’ex Ilva e il salvataggio della Popolare Bari.
Mattarella, il 2024 è stato un anno ottimo per Invitalia: utile oltre 22 milioni e 17 miliardi di investimenti attivati. Su quali settori vi concentrerete nei prossimi anni?
«Oltre al dato economico, conta l’impatto: abbiamo sostenuto oltre 62mila imprese, attivato 17 miliardi di investimenti e contribuito a creare o salvaguardare quasi 40mila posti di lavoro. Per non dire dei 97 miliardi di programmi che abbiamo supportato in vario modo. Le nostre priorità restano legate al sostegno ai giovani imprenditori, alle donne, alle filiere e al Pnrr, con attenzione alla transizione digitale e ambientale».
I fondi Pnrr incassati dall’Italia sono al 72% del totale. A che punto siete con i target?
«Dal nostro punto di osservazione, che riguarda circa 50 miliardi di progetti tra gestione, attuazione e supporto, prevediamo di centrare tutti gli obiettivi».
Ma il vostro ruolo non si esaurisce qui.
«Siamo la centrale di committenza più qualificata a livello nazionale, supportiamo molte pubbliche amministrazioni per metterle in condizione di poter implementare i loro investimenti pubblici sia con fondi Pnrr che con altri fondi. Un esempio sono gli investimenti delle città metropolitane e dei comuni italiani. Nel 2024 abbiamo gestito 191 gare per quasi 2 miliardi».
E sul fronte Esg?
«Per noi la sostenibilità è prioritaria. Gestiamo tutte le misure in base criteri di sostenibilità economica ma anche ambientale e sociale, stiamo rendendo sostenibili i nostri processi interni e abbiamo lanciato un social bond da 350 milioni nel 2022. Il secondo è stato emesso il 9 luglio con grande successo: la domanda ha superato di circa quattro volte l’offerta».
Come rispondono le imprese che state seguendo alla trasformazione digitale?
«Gestiamo strumenti come la Nuova Sabatini, il Fondo Transizione Industriale, il Bando Macchinari Innovativi. Dal 2022 al 2024 abbiamo sostenuto 145.000 imprese con 2,6 miliardi di agevolazioni, attivando 25 miliardi di investimenti».
L’intelligenza artificiale rischia di accentuare il divario tra grandi imprese e Pmi. Come evitate questo rischio?
«Finanziamo progetti che usano l’IA per migliorare processi produttivi e supportiamo startup che sviluppano queste soluzioni. Se ben gestita, può generare fino a 50 miliardi di valore aggiunto entro il 2030. E stiamo lavorando anche internamente, migliorando l’efficienza interna e di quella della Pa».
In questa fase il Sud cresce più del resto del Paese. Quanto ha inciso l’azione pubblica?
«Non poco. Con un Pil cresciuto dell’1% contro lo 0,7% nazionale, confermo che il balzo del Sud è anche merito degli investimenti pubblici legati al Pnrr e agli incentivi gestiti da Invitalia, e da altri soggetti. Per rendere strutturale questa crescita serve però rafforzare la capillarità del tessuto imprenditoriale. Abbiamo poli d’eccellenza in settori come aerospazio, meccanica e semiconduttori, ma dobbiamo costruire distretti industriali più connessi tra loro».
Quali strumenti hanno funzionato meglio nelle regioni del Sud?
«Le misure più efficaci sono quelle per la creazione d’impresa: “Resto al Sud”, “Smart & Start” e “Nuove imprese a tasso zero”, grazie a cui sono nate oltre 10.000 realtà in tre anni. Per i grandi investimenti, il contratto di sviluppo è uno strumento chiave per tutti i settori, dall’industria all’agroindustria, al turismo. Poi ci sono programmi tematici come quello finalizzato al sostegno dell’imprenditoria femminile, con strumenti dedicati e promozione mirata».
A proposito dei contratti di sviluppo ha fatto notizia la chiusura dello sportello da parte del ministero del Made in Italy a partire dall’1 luglio scorso.
«Attualmente la dotazione finanziaria non è sufficiente. Noi abbiamo quasi 4 miliardi di euro di investimenti che potranno essere istruiti soltanto nel momento in cui le risorse saranno disponibili. All’interno di questo quadro generale c’è una questione particolare che riguarda la mortalità nei progetti turistici, che è alta, anche perché troppo spesso si tratta di progetti che non sono supportati da un’adeguata analisi sul potenziale dell’iniziativa. Così come per tutti i settori industriali, noi dobbiamo applicare il dovuto rigore nelle istruttorie, sia in termini di analisi dei ritorni dell’investimento, sia soprattutto in termini di coperture patrimoniali e finanziarie che i soggetti proponenti possono mettere a servizio delle iniziative proposte, a prescindere dalla sua dimensione».
Il salvataggio della Banca Popolare di Bari, oggi BdM Banca, può dirsi compiuto?
«Direi che abbiamo fatto il nostro mestiere. Siamo stati chiamati nel 2020 per rilanciare un gruppo bancario che comprendeva sia la Banca Popolare di Bari sia la Cassa di Risparmio di Orvieto. Quest’ultima è oggi in fase di cessione su sollecitazione di operatori privati, stiamo quindi restituendo al mercato un istituto in salute. Per quanto riguarda BdM Banca, il percorso di rilancio è in fase avanzata: è tornata a svolgere con efficacia il proprio ruolo di banca del territorio al servizio di famiglie e imprese del Mezzogiorno e i numeri lo dimostrano».
L’ex Ilva si può ancora salvare, magari con la vostra controllata Dri d’Italia?
«Bisogna distinguere. Il governo sta lavorando intensamente per rilanciare l’ex Ilva e tutti i suoi siti produttivi, con tutto quello che questo impegno a cascata determina. Dri d’Italia, invece, ha il compito di realizzare almeno un impianto per la produzione di preridotto, semilavorato necessario per ottenere acciaio primario da forni elettrici e decarbonizzare la siderurgia. È un’infrastruttura al servizio dell’intero sistema Paese».
E Acciaierie d’Italia?
«Siamo azionisti della holding e non della società operativa. L’amministrazione straordinaria è stato un intervento necessario da parte nostra, condiviso con il governo: l’azionista privato non rispettava gli impegni e stava conducendo l’azienda verso l’insolvenza, peraltro accertata da un tribunale. Abbiamo agito per attivare un meccanismo di tutela».
Si può definire ottimista?
«Chiunque abbia la responsabilità di gestire dossier importanti ha il dovere di essere realista, ma anche di cercare con ottimismo la soluzione ai problemi. Per quanto riguarda me, se non lo fossi, non farei bene il mio lavoro».
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