La storia dell’ex Ilva sembra quella di un’eterna fidanzata che non riesce mai ad arrivare all’altare e quando ci arriva ogni volta il matrimonio viene annullato per pretesto. Fu così, di fatto, quando ArcelorMittal entrò in campo, ma vista la malaparata prese come scusa la messa in discussione dello scudo penale (tutela legale su fatti ambientali anche pregressi) per disimpegnarsi gradualmente. E potrebbe essere così oggi anche con Baku Steel.
Ex Ilva: le ultime indiscrezioni
Stando alle ultime indiscrezioni, gli azeri, che due mesi fa sono stati individuati dalla procedura di gara in corso come i partner migliori con cui trattare in esclusiva, potrebbero motivare un passo indietro formale alla luce dei danni subiti dall’altoforno 1 (unico in funzione insieme al 4) dopo un incendio che lo ha «del tutto compromesso». Ad ammettere il «danno notevole» è stato lo stesso ministro delle Imprese Adolfo Urso ventilando ripercussioni occupazionali e sulla stessa trattativa in corso, ma confermando per ora la presenza del partner russo.
Uno scenario disastroso, l’ennesimo buco nell’acqua per Taranto e il siderurgico che produce ormai al lumicino, non ha più circolante e ha gli impianti compromessi dalla scarsa manutenzione, non effettuata soprattutto nel periodo della gestione Mittal. Per ora Baku Steel non si è disimpegnata. Ma che resti o si trovi un altro partner (i cinesi di Baosteel?), la situazione è tale che Moneta ha cercato di fare i conti in tasca all’Ilva per capire quanto serve subito al gruppo per esistere e quanto a tendere. Anche perché all’orizzonte – se la situazione dovesse precipitare – potrebbe anche essere scelta la strada di una nazionalizzazione.
I miliardi in ballo per salvare l’ex Ilva
Il ministro Urso l’ha sempre esclusa, ma gli esempi di dietrofront improvvisi non mancano. D’altra parte, al di là della Manica il governo Starmer lo ha appena fatto con British Steel e qui in Italia i sindacati l’hanno chiesta a gran voce per molto tempo. «Guardando ai numeri – spiega a Moneta Davide Lorenzini, esperto del settore siderurgico – nell’immediato il salvataggio di Taranto passa da quasi 7 miliardi: stando ai valori di perizia 1,8 miliardi servono per l’acquisto degli impianti, 1 miliardo per le manutenzioni immediate, almeno 2 miliardi per ripristinare il circolante e altri 2 miliardi tra capex e opex. A tendere poi, e in base al piano di decarbonizzazione, visto cosa sta avvenendo all’estero potrebbero servire altri 5-6 miliardi da spalmare da qui al 2030-32».
Numeri da capogiro di fronte ai quali sarebbe forse opportuno valutare una diversa fase 2 con un progetto di rilancio alternativo. C’è poi il capitolo Cig. Al momento sono in cassa 4.000 lavoratori e in media ogni lavoratore costa 9.500 euro annui. Un numero che potrebbe salire soprattutto considerando che l’ex Ilva ha poco meno di 10.000 dipendenti e che, in media, ne servono 1.000 per ogni milione di acciaio prodotto (attualmente la produzione è tra 2 e 3 milioni). In soldoni all’ex Ilva basterebbero, a oggi, appena 2-3mila dipendenti.
Conti che anche la politica dovrà iniziare a fare soprattutto alla luce del fatto che il messaggio arrivato dal ministro Urso è tutt’altro che rassicurante: «Si rischia una nuova Bagnoli». Il riferimento è alle aree dell’ex Italsider e dell’ex Eternit di Bagnoli sequestrate nell’ambito di un’indagine della Procura di Napoli per disastro ambientale e al loro relativo fallimento.
Un ruolo centrale nella “saga” Ilva a questo punto è imputabile agli impianti. «Nel 2020 una relazione tecnica sanciva la fine vita dell’altoforno 2, all’Afo 4 venivano dati ancora due anni (al 2022) e all’Afo 1 tre anni (al 2023)», spiega Lorenzini specificando che «alcuni interventi in questi anni ne hanno sicuramente e parzialmente allungato la vita, ma nessuno di questi è stato rifatto ex novo e quindi la situazione degenera rapidamente, anche per l’utilizzo a singhiozzo che se ne è fatto negli anni passati».
Quanto costerebbe oggi metterci mano? «Il revamping è stimabile in centinaia di milioni cadauno. Il preventivo per AFO 5 (il più grande) fu di 225 milioni. Ma purtroppo dato che mancano le relazioni commissariali dal terzo trimestre 2024 a oggi è difficile fare una stima esatta», aggiunge. La fermata dell’altoforno 1 era prevista già questa primavera, in concomitanza della ripartenza dell’altoforno 2 che però risulta attualmente fermo e “freddo”, in fase di preriscaldo: questo significa che non è prevista una ripartenza nel medio periodo. Al momento quindi, e quasi certamente per diverse settimane almeno, il siderurgico marcerà con un solo altoforno (4) come avvenuto già lo scorso anno.
Quanto all’altoforno sotto sequestro, Il Pm Francesco Ciardo della Procura di Taranto ha concesso che pur restando tale e senza facoltà d’uso, l’altoforno 1 potrà essere messo in sicurezza da Acciaierie d’Italia in Amministrazione Straordinaria. L’impianto sarà posto in «quiescenza di lungo periodo». Situazione che comporterà un nuovo record negativo della produzione che al momento è stimabile in poco più di 2 milioni di tonnellate. E a sostegno dell’attività il governo ha elargito un prestito ponte da 100 milioni di euro.
Tutto questo basterà ai commissari per proseguire la trattativa azera? O tenersi un’Ilva di Stato potrebbe essere una strada percorribile?
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